Nymphomaniac Parte - 1, la recensione
Il controverso regista danese Lars Von Trier esplora il lato oscuro dell'erotismo con un film difficile ed ambizioso...
Nota: Abbiamo visto la prima parte di Nymphomaniac in versione originale con sottotitoli in francese. Come tutti sanno il film dura in totale circa quattro ore (riferendoci alla versione cinematografica, non alla director’s cut attualmente in lavorazione) ma arriverà nelle sale in due parti da due ore l’una. Questo primo volume finisce in medias res, dunque risulta molto difficile giudicare il senso profondo del film senza aver visto il vero finale a fine mese. Per questo motivo ci riserviamo di modificare l’articolo dopo la visione del volume II.
I tempi del DOGMA sono lontani, così come gli esperimenti metaletterari di Dogville e, con Nymphomaniac, Von Trier non fa altro che applicare la sua hybris demiurgica all’ultimo genere, agli anfratti umidi, bui e malati del porno. Il film, nonostante il marketing voglia far credere tutt’altro, non è una sequenza insensata di pratiche sessuali più o meno canoniche: la vicenda di Joe, una donna che si autodefinisce “ninfomane”, ha poco a che vedere con la ricerca del piacere e, ancor meno, con l’eccitazione da guardone tipica del cinema hardcore tradizionale. Von Trier ci consegna una vita perduta a tratti tragica, più vicina all’eroinomane che si buca per strada rispetto al mondo patinato del sesso cinematografico canonico. Le figure che meccanicamente mimano qualcosa di simile alla passione sono solo scenografia, tanto quanto i mobili del triste appartamento dove Joe incontra i suoi amanti o i boschi in cui passeggiava da bambina accompagnata da un padre forse un po’ troppo affettuoso.
Nymphomaniac è un bel film? Dice qualcosa? Riflette sul sesso? Probabilmente no e a Von Trier, non interessa. Ermetico fino alla frustrazione, pressoché incomprensibile per chiunque non faccia lo sforzo di comprendere la contortissima mente del suo creatore, il film altro non è che una sorta di flusso di coscienza: una visualizzazione del suo inconscio, dei suoi desideri e, soprattutto, delle sue domande. Come la protagonista, Nymphomaniac si lascia fruire dallo spettatore/utlizzatore finale, ma non gli appartiene mai. Se esiste una linea che separa il cinema dall’arte visiva, Von Trier si diverte - senza alcuna remora - a spostarla continuamente, alternando sesso, monologhi interiori, riflessioni sulla musica polifonica di Bach e provocazioni fini a se stesse costringendo lo spettatore a un viaggio allucinato fra il reale e la bellezza, il vizioso e l’elegante, il sesso e l’amore.
Molti si arrabbieranno, altri ancora lo avranno a noia, qualcuno probabilmente rimarrà deluso (soprattutto chi si aspetta lo scandalo gratuito), Nymphomaniac stordisce e lascia soli, costringendo a guardare nell’abisso di quell’angolo buio che si nasconde fra il cuore e la passione. Joe, dopo aver raccontato la prima parte della sua vita, spiega di non aver mai capito cosa sia l’amore romantico, affermando che “per me l’amore era solo desiderio con della gelosia appiccicata sopra”. Ecco, Nymphomaniac è passione, per il cinema, per l’arte, per la ricerca spirituale, con della trama appiccicata sopra.
Non sono certo che il film mi sia piaciuto, ma, tutto sommato, non penso neppure sia troppo rilevante. L’arte basta a sé stessa, dopotutto pure Bach scriveva musica ecclesiale, ma sarebbe da sciocchi pensare che il suo obiettivo fosse la maggior gloria di nostro signore. L’artista crea perché si diverte, se incidentalmente quello che crea piace anche al cosiddetto pubblico tanto meglio. Ma non è necessario.