Nuovo Olimpo, la recensione

Tra immagini da grande cineasta e momenti di ridicolo involontario Nuovo Olimpo non regge il peso delle sue ambizioni

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

La recensione del film di Netflix Nuovo Olimpo, presentato alla Festa del cinema di Roma e disponibile sulla piattaforma dal 1° novembre

Ci sono tanti modi di raccontare il cinema, inteso come sala, all’interno dei film, e Nuovo Olimpo nella sua prima parte si presenta come l’ennesimo film sul cinema (sempre inteso come sala). Tuttavia l’angolatura da cui guarda all’esperienza dell’andare al cinema è così coerente con la natura queer del film da fondersi perfettamente in un’idea di eccezionale presa. La sala Nuovo Olimpo in cui si incontrano i protagonisti negli anni ‘70 non è un cinema porno (non ancora almeno) ma è frequentata da omosessuali non necessariamente per vedere film, lì sono liberi di cercare l’amore o il sesso, di conoscere senza nascondersi.

La maniera in cui Ozpetek riesce a creare in un pugno di scene un’equivalenza tra comprare un biglietto per quel cinema e accedere a un mondo più libero, un mondo che non è solo di sesso ma è anche di sentimenti, in cui si danno appuntamenti, si conta di trovare la persona che si desidera e magari poter concretizzare un sentimento, è in sé una visione del cinema (adesso non più inteso come la sola sala) trascinante: il cinema è il luogo dei sentimenti liberi, dell’essere se stessi, delle esperienze intense. Letteralmente. Qualcosa degno di essere non la copia di Almodovar ma ispirato da Almodovar.

È solo uno di diversi colpi da gran cineasta di cui è tempestato Nuovo Olimpo (più in là una sequenza musicale sarà interrotta bruscamente sorprendendo lo spettatore con un controcampo che salta avanti di parecchi anni, dicendo molto con solo un taglio) che tuttavia è un film così mal condotto e così pieni di problemi da non riuscire mai a tenere un livello adeguato alle sue idee migliori. È una questione soprattutto di attori. Andrea Di Luigi e Damiano Gavino non riescono mai ad essere all’altezza dei ruoli principali, faticano con quello che gli viene chiesto e non possono veicolare con la classe necessaria a non far scadere in pessima soap gli intrecci necessariamente di grana grossa del melò. In particolare Gavino è affossato dal peso di avere il ruolo più difficile, il maschio introverso che parla poco e che dovrebbe tradire tutto quel che non dice, e non riesce proprio a recitarlo.

Tuttavia è con l’ingresso in scena di Alvise Rigo, fidanzato di uno dei protagonisti da un certo punto in poi, che si sfiora quasi il ridicolo. Uomo-oggetto con una psicologia elementare, si mangia le parole nelle scene concitate e fin dall’inizio è troppo chiaro che esiste un conto alla rovescia per il momento in cui si spoglierà, non diverso da quelli che accompagnavano verso la scena della doccia le donne nelle commedie sexy italiane anni ‘70. Il cinema di sentimenti tempestosi è fatto di attori, della capacità di inserire negli scenari giusti la loro capacità di creare un sentimento complicato. In nessun genere come questo è impensabile non avere un cast all’altezza della situazione. E dire che intorno a questi tre personaggi si muoverebbe invece un cast di donne molto in forma (addirittura anche Aurora Giovinazzo finalmente funziona!), ma il loro ruolo è marginale, sono delle osservatrici, capiscono tutto, vedono tutto di questi amori eppure sembrano condannate a non poter influire significativamente. Commentatrici tecniche con una scena madre a testa.

Continua a leggere su BadTaste