Normale, la recensione

Confuso nella scenografia e poi nella sceneggiatura, desideroso di essere più di quello che è Normale finisce per non essere niente

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione del film francese Normale, nelle sale italiane dal 12 ottobre

Cos’è esattamente Normale? È un teen movie d’autore? Un crowdpleaser maldestro? È un film che a fatica vorrebbe fare qualcosa di molto popolare, cioè un melodramma familiare, senza rinunciare a toni da cinema moderno? Di certo è un film nel quale a lungo, almeno fino a metà quando compare il primo cellulare, non è chiaro quando sia ambientato. Il che la dice lunga. Costumi, musiche, scenografia e tecnologie sembrano tutte retrodatate. Invece si svolge oggi questa storia di una figlia 14enne che si sente più brutta delle altre, cresciuta con un padre inaffidabile, pigro, sciatto e ora anche malato di una malattia degenerativa. 

L’incastro della storia sta tutto nel fatto che lei sia impegnata su più fronti, figlia quando è a scuola (con tutti i problemi di una adolescente) e compagna quando è in casa, cioè adulta responsabile che bada al padre e deve assicurarsi che i servizi sociali non li separino. In mezzo ci sono i sentimenti, ovviamente, e un’immaginazione fervida che le fa inventare storie (ma tutte nella prima parte, poi questa caratteristica che sembrava fondante sparisce). Normale continua a cambiare e lanciare stimoli che non diventano mai archi narrativi, porta avanti a fatica la sua trama e sembra non avere idea di come chiudere le porte che ha aperto.

Non basta Benoit Poelvoorde (attore di grandissimo carisma comico ma molto più traballante sul drammatico) e non basta una cornice sofisticata. La maniera sfiancante in cui Normale sfiora, accenna e non approfondisce nulla non lo avvicina nemmeno al cinema più sempliciotto (stile La famiglia Belier) perché poi tutta una serie di ambizioni che si evincono dal look e dalla cornice non banale, dicono l’opposto. E anche quando nella seconda parte sembra di capire che voglia fare un racconto di outsider (anche il ragazzo che piace alla protagonista lo è), di come la società marginalizzi e renda la vita difficile a chi non si allinea con i suoi dettami, non crea mai quel senso di partecipazione a una famiglia di strani, ma anzi genera un po’ di repulsione.

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