Non volere volare, la recensione

Pensato come una farsa solo blandamente aggiornata al cinema di oggi, Non volere volare è slabbrato e affidato ai suoi interpreti

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Non volere volare, la commedia di Hafsteinn Gunnar Sigurðsson in uscita il 18 aprile

È una piccola farsa questa, condotta come fosse una grande commedia. È il primo film in inglese (e con attori britannici) di Hafsteinn Gunnar Sigurðsson, regista e sceneggiatore islandese, che sembra essere andato a pescare dalle commedie degli anni ‘60 (spoiler: non le migliori) l’idea di questa farsa per accumulo. I protagonisti sono un gruppo di persone che tra di loro non si conoscono e hanno provenienze diverse, tutti iscritti a un corso per smettere di avere paura di volare. Dopo un po’ di prove a terra prendono tutti insieme un aereo, per testare le tecniche che gli sono state insegnate per limitare la tensione, tuttavia all’atterraggio una lunga serie di problemi li tiene bloccati nell’aeroporto e poi in un hotel.

L’accumulo sta nella maniera in cui ognuno, e la persona che li aiuta ad avere meno paura, per via delle proprie questioni personali, ribolle, è teso o è tesa, e a un certo punto esplode, portando a una serie di equivoci, stratagemmi, conflitti e comici incidenti. Almeno in teoria, nella pratica Non volere volare è una commedia spenta, con un umorismo ben poco divertente e sebbene alcuni interpreti cerchino realmente di fare la differenza (principalmente Timothy Spall, come spesso avviene, e Emun Elliott), nei momenti migliori sembra solo che vadano da sé, non coordinati tra loro.

Non aiuta che la sceneggiatura sia molto slabbrata (perché la più protagonista del gruppo non ha detto alla famiglia che fa un corso per non avere paura di volare?) e non aiuta la fatica che Sigurðsson fa nel tenere alto il ritmo. Non volere volare è il tipo di film che fornisce l’impressione di non essere stato montato nell’ordine giusto, in cui le continue accelerazioni e poi decelerazioni di ritmo non sono ben organizzate e nuocciono alla fruizione che alla fine, inevitabilmente, più che essere rutilante è noiosa.

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