Non succede, ma se succede...: la recensione

Dentro lo scheletro di una commedia molto tipica, Non Succede, Ma Se Succede... fa battere un cuore per niente tipico

Critico e giornalista cinematografico


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Non Succede, Ma se Succede..., la recensione del film di Jonathan Levine al cinema dal 10 ottobre

Sono ormai così tanti anni che il presidente degli Stati Uniti è rappresentato come un cretino che non ci facciamo più caso. Otto anni di presidenza Obama hanno solo attutito una tendenza partita ad inizio anni 2000 e rafforzata moltissimo dalla presidenza Trump. In Non Succede, Ma se Succede… è un grandissimo Bob Odenkirk, star della televisione in prestito all’ufficio ovale a trovare anche un’altra dimensione di idiozia.

E quando il presidente è una macchietta il cinema racconta le retrovie, è lì che si trova la politica vera, in Charlotte Field, segretario di stato che sembra Claire Underwood di House Of Cards, bella e intelligente, preparatissima e intenta a spianarsi la strada verso la corsa alla presidenza. Lei, che ha dedicato una vita alla politica e di film e serie tv legge le sinossi, lei che è tutta dedita ai temi ambientalisti, riconosce ad una festa un uomo che forse conosce.

Lui invece, un giornalista d’assalto così integerrimo da aver perso il magro lavoro che aveva, non ha dubbi, la conosce e come! 30 anni prima gli aveva fatto da baby sitter e se n’era già innamorato. Il resto si scrive da solo, o quasi.

Perché Non Succede, Ma se Succede… fa di tutto proprio perché in realtà il resto non si scriva da solo. Ha la grande forza di lavorare su ogni singola svolta e ogni momento di questa strana commedia romantico/politica in viaggio intorno al mondo, tra una donna in carriera e quello che è diventato il suo speech writer. Ognuno dei molti snodi usuali è reso in qualche modo meno usuale, ben smascherato o anche solo introdotto con intelligenza. C’è un’attenzione particolare a creare le situazioni, dosare la parte di innamoramento e non dare mai per scontato niente, portando i due ad avvicinarsi per gradi e non appoggiandosi al banale nemmeno nel più inevitabile dei “third act break up”, quando cioè la coppia deve litigare e lasciarsi un po’ prima del finale.

Se Seth Rogen fa Seth Rogen, cioè interpreta il suo solito personaggio con una inedita passione per le gag slapstick che solitamente non ha, Charlize Theron regge davvero il film (è la seconda volta che capita a sorpresa dopo Mad Max: Fury Road), tenendo il piede in due staffe mantenendo la serietà e la commedia in equilibrio. È lei che è credibile in ognuna delle due dimensioni, è lei che non è mai banale.

E se Jonathan Levine e il suo team di sceneggiatori non riescono a dotare la storia di un cast di comprimari a livello (ci sono, ma davvero non hanno la caratura dei grandi comprimari da commedia), hanno invece la capacità di riuscire a creare una parabola che schiva i consueti buonismi e le solite banalità, per affermare contro ogni previsione, qualcosa di poco popolare e molto vero. Cioè che la politica non è solo ideali ma anche obiettivi e che rimanere attaccati a tutti i costi ai principi non è per forza una cosa buona come le commedie vanno spacciando.

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