Non siamo più vivi (prima stagione): la recensione

Dalla Corea arriva su Netflix un'altra serie in grado di conquistare il pubblico internazionale: il dramma a sfumature horror Non siamo più vivi

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Non siamo più vivi, la nuova serie targata Netflix ispirata al webtoon di Joo Dong-geun, conferma il buon livello delle produzioni coreane realizzate per la piattaforma di streaming e, dopo un inizio nella tradizione degli horror post-apocalittici, propone una storia matura, emozionante e originale con al centro dei teenager che superano progressivamente gli stereotipi che incarnano nelle prime battute.

Una lotta per la sopravvivenza tra le mura di un liceo

La storia prende il via con una scena di violenza che anticipa l'atmosfera cupa e l'elemento horror alla base del progetto, introducendo poi la quotidianità di un gruppo di studenti, tra vittime di bullismo, possibili amori e rapporti affettuosi con i propri genitori. Tutto cambia quando il segreto che sta custodendo da tempo l'insegnante di scienze Byeong-Chan (Byung-Chul Kim) ha delle conseguenze drammatiche e il liceo diventa l'epicentro della diffusione di un virus che trasforma le persone in zombie.
A sopravvivere alla prima ondata di attacchi mortali sono On-jo (Park Ji-hu) e il suo migliore amico Cheong-san (Chan-young Yoon), che si ritrovano bloccati in una classe insieme a un gruppo di compagni di classe che comprende anche Namr-ra (Yi-Hyun Cho), presidente del consiglio scolastico, la mean girl Na-yeon (Lee You-mi) e Su-hyeok (Lomon), per cui On-jo ha una cotta. Eun-Ji Min (Hye-Soo Oh), vittima del malvagio bullo Gwi-Nam (In-Soo Yoo), è invece sul tetto della scuola insieme a Cheol-Soo (Ji-Ho Ahn). Ad arrivare in un secondo momento nell'area della scuola è poi il team di tiro con l'arco della scuola che comprende Ha-Ri (Seung-Ri Ha), giovane che trova rifugio nel bagno dove si erano rifugiati Mi-Jin (Eun-Saem Lee) e Joon-Sung (Han-Yol Yang).
Tra le mura scolastiche ci sono inoltre il preside (Hyo-Seop Eom) e l'amata insegnante Sun-Hwa (Sang-Hee Lee), che si rivelerà fondamentale per dare forza e motivare i sopravvissuti.
Le autorità, nel frattempo, cercano di individuare la causa di quanto sta accadendo e capire come gestire la situazione, con risultati piuttosto discutibili.

Non siamo più vivi - Prima stagione

Dodici episodi che approfondiscono bene i personaggi

Il gran numero di personaggi coinvolti nella storia, almeno nelle fasi iniziali, rende un po' complicato seguire in contemporanea tutte le ramificazioni della narrazione e, con l'eccezione del padre di On-jo o la madre di Cheong-san, quello che accade all'esterno della scuola avrebbe potuto persino avere meno spazio, sfruttando solo l'espediente dei video realizzati da Byeong-Chan per spiegare le cause della situazione apocalittica e far capire cosa sta accadendo al resto della comunità. Tra i personaggi meno convincenti, nonostante l'evidente scopo di ironizzare sulle teorie dei complottisti e la fama degli youtuber, c'è infatti la star dei social Orangibberish (Lee Si-Hoon) che si introduce nella città messa in lockdown per trasmettere in streaming le immagini di quello che sta accadendo realmente, mettendosi ovviamente nei guai.
Il vero punto di forza del racconto è però il modo in cui i teenager protagonisti reagiscono alla violenza di cui diventano testimoni e alle perdite drammatiche che avvengono nella loro vita, sviluppando in modo credibile e realistica l'evoluzione delle amicizie, le rivalità, i sospetti, i tradimenti e il confronto con il proprio istinto, che si tratti di un sentimento che porta ad avere desideri omicidi o al contrario provare empatia e compassione.
Dopo i primi capitoli della storia che propongono situazioni in pieno rispetto dei racconti dall'analogo punto di partenza, con attacchi violenti da parte degli zombie e scontri per sopravvivere, Noi non siamo più vivi si concede il tempo di approfondire la storia di quasi tutti i protagonisti mostrandone la reazione, razionale o istintiva, di fronte alla più che probabile possibilità di morire e l'inevitabile maturazione obbligata mentre intorno a loro crolla il mondo come lo hanno sempre riconosciuto. Non si tratta di ragazzi ingenui e inconsapevoli: gli studenti, a differenza degli adulti, non mettono mai in dubbio di trovarsi di fronte a morti viventi e citano persino Train to Busan e Zombieland nelle loro riflessioni. Sono ragazzi che, dopo l'iniziale speranza dell'arrivo di un aiuto da parte degli adulti, usano le loro conoscenze per capire come riuscire a risolvere problemi pratici come riuscire ad andare in bagno, trovare informazioni e contattare il mondo esterno, spostarsi da una classe all'altra e persino capire se qualcuno è infetto. Le sequenze d'azione sono costruite bene e in modo spettacolare, creando la giusta tensione, e tra inseguimenti in biblioteca, attacchi in palestra e tentativi di raggiungere il tetto, il rischio affrontato dai giovani possiede l'atmosfera giusta per rendere le eventuali perdite significative e le riflessioni sulla vita non banali. Il mix di teen drama - perché anche durante l'apocalisse zombie c'è spazio per amori non corrisposti e rivalità - e thriller-horror funziona bene e giustifica le scene in cui si dà spazio ai dialoghi sul significato della vita.
In pieno stile coreano non possono mancare dei tasselli al limite della follia e il villain Gwi-Nam è perfettamente in linea con la dimensione horror del racconto, tanto da spingere chi tormenta a chiedersi "ma non muore mai?".
A livello metaforico ci sarebbero molti passaggi del racconto a essere meritevoli di analisi, in particolare per quanto riguarda la scoperta della propria individualità e la separazione dalla sicurezza dei propri genitori, tuttavia Non siamo più vivi lascia in secondo piano le sfumature più serie per offrire un'opera in grado di intrattenere e spingere al binge-watching senza mai annoiare. La realtà cupa e cinica, un po' come accaduto in Squid Game, lascia comunque trapelare quel poco di speranza e leggerezza necessaria a non appensantire troppo la visione. Sullo schermo non mancano poi la violenza e non si nasconde, fin dai primi capitoli della storia, che nessuno è al sicuro, nemmeno le persone per cui è impossibile non fare il tifo. Questo senso di incertezza e il continuo susseguirsi di ostacoli da superare pur di rimanere vivi non sarebbero però altrettanti efficaci se non fossero sostenuti dalle buone prove del cast che rende credibile il senso di abbandono e alienazione che contraddistingue la loro lotta solitaria per non trasformarsi in zombie.

Il continuo uso dei flashback, invece, non appare vincente a livello di costruzione della narrazione, tranne nel caso in cui si svela quanto accaduto a due dei personaggi che erano "scomparsi" per alcune puntate. Non tutti i tasselli dell'intricato puzzle si incastrano alla perfezione, ma Non siamo più vivi funziona molto bene nella rappresentazione della scoperta dei teenager di ciò che ci rende umani, lasciando aperta la porta a una continuazione del racconto che potrebbe allontanarsi ancora di più dagli schemi del genere, risultando così maggiormente originale e imprevedibile.

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