Non così vicino, la recensione
Nemmeno Tom Hanks riesce a trovare un senso a Non così vicino, che non sia l'essere il più velleitario film indie della stagione
La recensione di Non così vicino, nelle sale dal 16 febbraio
Otto vive in una specie di condominio con strada privata, più tipico di Stoccolma che di Pittsburgh, e la sua principale occupazione è rompere le scatole a tutti imponendogli di rispettare le regole. È antipatico e odioso, ma con le uniche soluzioni di regia interessanti di tutto il film vediamo che in casa sua ci sono cappotti da signora e cappottini da bambina anche se in casa è solo. Capiamo da noi che qualcosa è successo, la sua vita prima doveva essere diversa. Nella zona condominiale arriva una coppia incasinata di cui lei, ispanica, empatica e irresistibile, lentamente comincia a far breccia nella sua anima tormentata.
Nell'insipienza generale Tom Hanks pure sembra ai minimi, ripiegato tra il burbero Eastwood di Gran Torino (se la prende anche con i giovinastri smidollati del giorno d’oggi) e il Jack Nicholson vedovo di A proposito di Schimdt, così ordinario che è facile che accanto a lui emerga Mariana Treviño, la donna ispanica piena di desiderio di vivere e sentimento, capace davvero di illuminare gli ambienti con la propria presenza, di cambiare il tono delle scene solo con la propria recitazione e riempire le inquadrature. Lei è la parte migliore di un film che poi, nel finale, non esita ad insultare l’intelligenza degli spettatori ordendo anche uno showdown con dei cattivi nel quale Otto potrà dimostrarsi un vero protagonista positivo.