Non C'è Bisogno di Presentazioni 1x03, la recensione

La nostra recensione del terzo episodio di Non C'è Bisogno di Presentazioni, con protagonista Malala Yousafzai

Critico e giornalista cinematografico


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Nonostante non possa dirsi pienamente riuscito, nonostante non sia uno show d’intrattenimento fenomenale, è indubbio che Non C’è Bisogno di Presentazioni per la sua stessa esistenza ponga l’interrogativo su quale sia la missione della tv d’elite. Netflix, come del resto Amazon e Sky, questo sono, le alternative a pagamento (anche basso) che giustificano la loro esistenza solo ed unicamente con una proposta etichettata come “di qualità”. A prescindere dai risultati, altalenanti com’è normale che sia vista la quantità di prodotti presentati, Netflix si propone come la tv dell’elite con le serie più sofisticate, gli show realizzati con budget maggiori, più originali e le produzioni esclusive più audaci.

Lo show di Letterman rientra in questa definizione non solo per la caratura del talent e degli ospiti ma soprattutto per quello che indaga. Implicitamente quindi pone una domanda che tutta la tv dovrebbe porsi: se per quanto riguarda la finzione le serie sono la tv d’elite, cosa lo è per lo spettacolo d’intrattenimento?

La risposta che indirettamente dà Non C’è Bisogno di Presentazioni è un modo di fare interviste che nel vecchio spettacolo non sarebbe mai stato fatto, dotato di un altro tono, molto più serio e meno giocoso, di altri ospiti o di un approccio diverso ai soliti ospiti. Soprattutto il nuovo show di David Letterman si permette qualcosa che la tv comune non fa mai, intervistare per un’ora un talent probabilmente sconosciuto alla maggior parte del pubblico. È questo Malala Yousafzai, premio Nobel per la pace del 2014 e non propriamente famosissima. Netflix sembra dire che può permettersi non solo di mettere in scena talent arcinoti (Barack Obama, George Clooney, Jay-Z, Tina Fey…), raccontando di loro il lato umanitario, sociale, positivo e meno glamour, ma anche presentarne al pubblico uno che non conosce e che invece dovrebbe conoscere.

Molto della puntata con Malala Yousafzai è infatti dedicata a raccontare la sua vita, come mai abbia meritato il premio Nobel (è la più giovane di sempre ad averne vinto uno) e cosa ci sia dietro la sua storia. Quello che ha sempre fatto Letterman, aprire il talent per guardare nel suo quotidiano, chiedergli cosa faccia la domenica, come funzioni la sua giornata, se polemizzi con i suoi genitori e via dicendo, adattato a qualcuno che ci appare lontanissimo da noi. La strategia pare perfetta ma come troppo spesso avviene in Non C’è Bisogno di Presentazioni è eseguita non al meglio.

La rituale parte di contributi esterni, con buona coerenza, è dedicata al viaggio di Letterman all’università di Oxford dove Malala è stata accettata (la sua storia è quella di un forte attivismo verso la possibilità di libera istruzione per tutti).

Come spesso gli capita questi contributi esterni non sono granchè e del resto anche la conversazione non è il massimo. Prevedibilmente questo è l’episodio finora peggiore, Letterman non riesce mai a dare ritmo e, come ha fatto in tutta questa serie di interviste, lascia all’ospite l’incombenza di “fare l’intrattenimento”. Ovviamente Malala Yousafzai non ha quelle caratteristiche, spesso risponde con poche parole, non approfondisce quando dovrebbe o come dovrebbe perché non è un personaggio mediatico.

L’intento di Letterman dall’altra parte è sempre più evidente: enfatizzare la sua caratteristica da conduttore di essere (o fingere di essere) l’uomo medio che non sa niente, il cretino che fa domande cretine che possono esaltare l’ospite che lo prende in giro e così fa la figura della persona migliore. Qui non esita a mostrarsi come vigliacco e pusillanime, di fronte ad una donna coraggiosa e piena di spirito civico. Fa domande da redneck alle volte, cerca di trovare l’interrogativo che probabilmente sta nella testa del pubblico, di farsi interprete dei suoi timori e delle sue reticenze rispetto a chi non ha paura di morire per affermare un ideale. La cosa un po’ cozza con il fatto stesso che sia stato lui ad invitarla allo show, ma è una finzione per il bene dello spettacolo. Per questo è così grave che poi lo spettacolo non vada benissimo.

Queste non sono interviste corrosive, dure, che mettono in questione l’ospite ma interviste blande che lo esaltano (proprio perché Letterman sminuisce se stesso) e gli consentono di raccontarsi, è indispensabile quindi che ci sia dell’intrattenimento altrimenti l’interesse è pari a zero. E quando pure Letterman ci prova, con una serie di domande più leggere, chiedendo a Malala Yousafzai di scegliere di volta in volta tra due oggetti, argomenti, stili, sensazioni (un “Meglio questo o meglio quello?” senza vie di mezzo e con palese intento comico) il risultato è sconfortante. Non solo perché è il grado zero della commedia ma soprattutto perché pare che lei non fosse informata della cosa e inizialmente non la capisce, la respinge e non accetta, di fatto uccidendo ritmo e imbarazzando i risultati.

Se davvero la parte d’intrattenimento dev’essere limitata a questo…

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