Non aver paura del buio, la recensione

Dietro un film di genere molto canonico e ordinario pulsa il cuore del miglior Del Toro e un'idea di cinema molto più ampia di quel che il regista voglia mostrare. Bellissimo...

Critico e giornalista cinematografico


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Per qualche anno è sembrato che avessimo perso l'incredibile cinema di Guillermo Del Toro, smarrito tra tante produzioni non sempre all'altezza dei suoi film da autore e lontane dalla raffinatezza delle sue visioni al tempo stesso di serie B e alte. Ora con qualche film da sceneggiatore (su cui si fanno notare i dueLo Hobbit) e uno nuovo da regista in cantiere per il 2013 (Pacific Rim), oltre alle diverse collaborazioni come produttore o consulente (in particolare con la DreamWorks Animation), sembra che il ritorno sia sempre più prossimo.

Arriva così in Italia ora, con quasi due anni di ritardo il film di Troy Nixey (originariamente un fumettista) che Del Toro ha prodotto e scritto.

Dei film del cineasta nerd per eccellenza (uno a cui si rivolge anche Peter Jackson, per dire) Non aver paura del buio ha tutto. C'è una protagonista bambina, c'è un mondo in cui gli orrori delle leggende e delle tradizioni sono veri e soprattutto c'è un impianto generale da favola andata a male, quel modo sublime che ha Del Toro di prendere i racconti per bambini e scavarne la componente malata, perversa, orribile e violenta.

Con un gusto quasi da Joe Dante (ma senza ironia), questo film racconta di una popolazione di immondi esserini pelosi che popolano il sottosuolo, al confine con gli inferi, i quali (in virtù di un grottesco patto fatto con Papa Silvestro II) pretendono denti di bambini, e se non li hanno cominciano a rapirli. Sorvolando sulla contrattazione senza senso fatta dal Papa, la metafora con la fata dei denti è esplicita e più volte richiamata, così come lo è quella con le favole morali.

A parte qualche luogo comune dell'horror un po' tirato per i capelli (il giardiniere che sa tutto) Non aver paura del buio fa un uso magistrale dei grandi topoi del genere, come non si vedeva da tempo. Il buco dal quale emergono le creature, così come le voci loro e dei rapiti sono idee di messa in scena straordinarie, allo stesso modo l'idea malata della fatina dei denti che rapisce e il più scontato gioco di gatto e topo con le vittime al buio risultano da manuale.

Troy Nixey di certo rinuncia a qualsiasi velleità che non sia l'intrattenimento, di proposito non coltivando lo spunto di una protagonista presa nel più classico dei momenti di transizione (abbandona la madre per andare a vivere con il padre e la nuova moglie che non tollera). Tutto ciò infatti non ha reale importanza o viene sviluppato nel rapporto con la paura. Non c'è insomma una conquista dell'umanità attraverso la lotta con il mostruoso come in La spina del diavolo o Il labirinto del Fauno, lo stesso però Non aver paura del buio ha dei momenti (specie all'inizio) di autentico terrore.

 
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