Noise, la recensione
Ci sono voluti ben tre sceneggiatori per non riuscire a tirare fuori da Noise neanche uno straccio di trama. Un record a suo modo unico.
La recensione di Noise, disponibile su Netflix dal 15 marzo
Il film, diretto da Steffen Geypens stesso, è un dramma fiammingo a tinte surreali (dire horror sarebbe decisamente esagerato) che parte da elementi più che classici: una vecchia casa d’infanzia, una morte misteriosa, un trauma da riparare. Tutte possibili piste che riguardano il protagonista, un neopapà che si trasferisce con la compagna e il figlio nella casa dove morì suicida la madre e che, su richiesta del padre (affetto da qualche tipo di malattia neurodegenerativa) comincia ad “indagare” sull’industria chimica di famiglia, misteriosamente chiusa dopo un incidente.
La risoluzione non potrà allora che essere altrettanto gratuita e tira in ballo questioni familiari che Steffen Geypens ci aveva, tra l'altro, già mostrato nella primissima scena. A questo personaggio a dir poco mal riuscito si affianca poi quello della compagna che ne subisce i deliri e che allo stesso modo non fa niente per tutto il film se non portare in giro il bebé per il paese e preoccuparsi che il marito stia impazzendo. Un disastro narrativo su tutti i fronti: in Noise non c’è alcun conflitto, nessun nesso causa/effetto tra le scene, nessuna tensione narrativa. La regia di Geypens non riesce a salvare proprio niente, moscia com’è a sottolineare la vacuità insensata di questa storia senza capo né coda.
Insomma Noise fa un giro inutile e senza senso attorno a un “mistero” che non è tale per poi ritornare al punto di partenza senza averci raccontato nulla di nuovo rispetto a quello che sapevamo dalla prima scena. Se questa non è pessima scrittura, non sappiamo cosa possa esserlo.
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