Noir Casablanca, la recensione

L’esordio di Kamal Lazraq mostra uno sguardo originale ma ancora incerto, che non sfrutta fino in fondo le sue ottime idee.

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La recensione di Noir Casablanca, il film d’esordio di Kamal Lazraq premiato a Cannes 2023 nella sezione Un certain regard, in arrivo al cinema il 6 giugno.

È decisamente una lunga notte quella di Issam (Ayoub Elaid) e di suo padre Hassan (Abdellatif Masstouri). Due piccoli criminali di Casablanca a cui di colpo inizia a andare tutto male. L’uomo che dovevano consegnare a un gangster muore per errore. Ora devono disfarsi del corpo, ma non sarà facile. Noir Casablanca è un esordio tanto intrigante quanto irrisolto. Kamal Lazraq rivela già un talento per la costruzione di atmosfere, avvolgendo il film di un’oscurità che una volta tanto non rende confusa l’azione, ma acquista un preciso senso poetico e morale. E da uno scheletro di trama sa trarre un numero sorprendente di sfumature, di possibili direzioni. Ma sembra ancora troppo acerbo per percorrerle fino in fondo, per sapere quando affondare con lo stile visivo e la scrittura.

È interessante ragionare su come Lazraq scelga di sceneggiare e mettere in scena una storia che si presterebbe a un trattamento molto più hollywoodiano. C’è un obiettivo da raggiungere, ci sono i rischi che ne conseguono per il futuro dei due protagonisti, e c’è la loro costruzione psicologica, che dai pochi dialoghi rivela due persone completamente diverse. Anzichè fare il viaggio dell’eroe Lazraq punta tutto su un realismo ingannevole, che spesso e volentieri rivela un lato astratto e simbolico in grado di interrogare la moralità del duo. Il loro andare di porta in porta in cerca di aiuto acquista il sapore di una parabola religiosa, punteggiata di incontri bizzarri dove fanno capolino apparizioni di spiriti (forse solo immaginate) in uno scorcio di bassifondi marocchini dominato da una mentalità superstiziosa.

Quello che manca in Noir Casablanca è un certo coraggio di uscire dall’immobilità dello stile, paralizzato in una contemplazione di gesti e dialoghi che funziona molto bene nelle fasi introduttive, molto meno quando c’è da trarre le conclusioni del racconto. L’effetto è quello di un film che si chiude su sé stesso, che fatica a sfruttare davvero la linea più surreale suggerita dai dialoghi. E che al di là dell’atmosfera notturna, non sembra avere la sicurezza per narrare attraverso le immagini. Basta vedere come “spreca” l’elemento simbolico più potente – il corpo della vittima – costantemente in scena ma quasi mai tematizzato visivamente, nonostante agisca come una specie di cartina di tornasole su cui si misura l’umanità di tutti i personaggi.

È per via di questa indecisione se a tratti il film sembra meno interessante di quello che è: l’ennesimo spaccato criminale sull’homo homini lupus (il tema abusatissimo dei combattimenti fra cani) più che un ibrido di stili opposti in sorprendente equilibrio.

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