Noi siamo infinito, la recensione

Grande storia di formazione, ascesa e affermazione sentimentale di un adolescente fuori dal mucchio e dagli stereotipi. Il miglior cinema per ragazzi...

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

Sarà il ritorno di moda degli anni '80, fatto sta che gli ultimi anni sono riusciti a regalarci almeno una perla ogni 365 giorni appartenente al genere della commedia adolescenziale. Easy girl, Adventureland, Mean girls, Bandslam e via dicendo sono stati i migliori esempi ma l'elenco è folto. Ora Noi siamo infinito si connota come una variazione hipster sul tema, più piegato su un protagonista introverso e traumatizzato aiutato nella sua apertura al mondo da un gruppo di ragazzi più grandi e diversi dalla media.

Non siamo dalle parti dei film sull'amicizia nerd di scuola Juss Apatow, i protagonisti qui non sono sfigati ma semplicemente diversi, non omologati e per questo, inevitabilmente, hipster. Anche se il film è ambientato nella Pittsburgh di vent'anni fa.

Tutto parte da un libro pubblicato da MTV alla fine degli anni '90 e mai provenienza fu più evidente. Noi siamo infinito traspira MTV culture anni '90 da ogni poro. Il modo in cui i protagonisti vestono e interagiscono sembra uscito da un videoclip indie-rock-sentimentale ma è poi nell'uso spregiudicato della voce fuoricampo (il romanzo era paradossalmente epistolare) che si smuovono le acque con più efficacia a furia di omosessuali, ragazze con capelli corti e un'attrattiva sessuale che non passa per i consueti percorsi, arroganze e violenza scolastica ordinaria con musica di David Bowie anche se nessuno sa chi sia.

La sorpresa vera allora è che il merito di un film così delicato, ben scritto e inventivo sia tutto e soltanto di Stephen Chboski, autore del libro, autore della sceneggiatura e regista. Lungi dall'essere un film girato in difesa, senza osare o accontentandosi di rendere la storia fluida, Noi siamo infinito osa, cerca soluzioni, azzarda idee e spesso centra il colpo. Si direbbe che dietro c'è un ragazzo di buona esperienza e un certo mestiere, invece è un esordiente. Non male.

Ovviamente il titolo italiano che fa molto film di Veronesi sui giovani non somiglia nemmeno all'originale che si potrebbe tradurre letteralmente come "I benefici di fare da tappezzeria", o con più sbrigatività come è stato tradotto il titolo del romanzo: "Ragazzo da parete".

Continua a leggere su BadTaste