Noi siamo i Cavalieri dello Zodiaco, la recensione
Noi siamo i Cavalieri dello Zodiaco permette di godere appieno delle tavole del maestro Kurumada in tutta la loro straripante potenza espressiva
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Noi siamo i Cavalieri dello Zodiaco è arrivato in fumetteria e in libreria di varia alla fine dello scorso maggio; insieme a Io sono Capitan Tsubasa è il secondo maxi-cartonato che Mondadori ha dato alle stampe in collaborazione con Star Comics ed è dedicato a un altro amatissimo evergreen che la casa editrice perugina distribuisce nel nostro Paese da ormai molti anni.
Torniamo così ad appassionarci alla storia di Seiya, impegnato nei suoi allenamenti quotidiani sotto la vigile guida di Marin per arrivare a conquistare lo scrigno contenete il cloth, ossia la corazza di Pegasus. Proprio come le altre armature, questa concede l'onore e l'onere di diventare uno dei guerrieri sacri alla dea Atena: sono chiamati Saint, e ognuno di loro possiede un cosmo, ovvero un'energia che, come il cloth che indossano, è legata alle caratteristiche di una costellazione. Per questo motivo i Saint sono in tutto ottantotto, suddivisi in tre caste gerarchizzate in base alla loro forza: Bronze Saints (quarantotto), Silver Saints (ventiquattro) e Gold Saints (i dodici segni zodiacali).
"Noi siamo i Cavalieri dello Zodiaco permette di godere appieno delle tavole del maestro Kurumada in tutta la loro straripante potenza espressiva."I pregi peculiari di Noi siamo i Cavalieri dello Zodiaco, proprio come quelli di Io sono Capitan Tsubasa, sono essenzialmente due: scatenare una vera e propria epifania in chi non conosca il fumetto originale e solleticare l'irresistibile desiderio nei fan veterani di andare a rileggere l'intera serie. Entrambi i volumi ripropongono dei classici il cui fascino e il tasso di coinvolgimento non sono affatto inferiori a quelli a cui ci hanno abituato le indimenticabili trasposizioni animate degli anni 80 targate Toei Animation, le quali continuano ancora oggi ad appassionare generazioni di giovani, nonostante i vari remake e riadattamenti.
Saint Seiya, questo il titolo giapponese, esordisce nel 1986 su Weekly Shonen Jump, rivista ammiraglia di Shueisha. Proseguito fino al 1990, il manga è stato raccolto in ventotto tankobon e suddiviso in tre grandi saghe: The Sanctuary, The Poseidon e The Hades. Da lì è nato uno dei più grandi successi commerciali di sempre, che ancora oggi alimenta ulteriori trasposizioni, videogiochi e un variegatissimo merchandising. Non si contano gli spin-off affidati da Kurumada a diversi autori, senza dimenticare che il sensei stesso sta portando avanti dal 2006 Saint Seiya - Next Dimension (J-POP), il seguito ufficiale del suo capolavoro edito da Akita Shoten.
Difficile sintetizzare la formula vincente ideata da Kurumada nel concepire I cavalieri dello Zodiaco. Certamente, nel Giappone dei primi anni 80 c'era parecchio fermento creativo in ambito shonen, dovuto probabilmente alla crisi dei Super Robot, che avevano ormai esaurito ogni possibile declinazione narrativa, divenendo un tema oltremodo inflazionato.
Occorreva dunque un soggetto altrettanto geniale ma più diversificato e meno ripetibile di quello concepito da Go Nagai: non più giganti d'acciaio, ma esseri in carne e ossa che fossero dotati di poteri eccezionali, con i quali difendere i più deboli e salvare l'universo, ma che si distinguessero dai super eroi americani e possedessero un DNA chiaramente nipponico.
Maestri come Shotaro Ishinomori, Tatsuo Yoshida e Leiji Matsumoto avevano già suggerito valide alternative in alcuni loro lavori per la Nona Arte e per il piccolo schermo. Le fonti d'ispirazione possono essere le più disparate: le arti marziali, gli alieni, la mitologia, le religioni e tanto altro; tutto amalgamato in un qualcosa di mai visto prima e di grandissimo impatto.
Nel 1983 Buronson e Tetsuo Hara lanciarono Ken il Guerriero, dodici mesi dopo fu la volta di Akira Toriyama con Dragon Ball, mentre il biennio successivo toccò a Saint Seiya di Kurumada: tre capisaldi che gettarono le basi di una nuova concezione di shonen e di Fumetto mainstream giapponese, e che aprirono un'era altrettanto rosea dopo quella dei Super Robot, forse ancor più ricca di soluzioni e autori eclettici.
Fonte immagini: comiXology