Noi siamo Francesco, la recensione

Cinema adolescenziale con handicap, l'impresa di Noi siamo Francesco era molto difficile e riesce solo in parte grazie ad un protagonista fuori dal comune

Critico e giornalista cinematografico


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È venuto a crearsi negli ultimissimi anni un certo tipo di cinema pugliese, ampiamente foraggiato dalla regione e sostenuto dalla film commission locale, che presenta tratti comuni e stilemi comuni, sebbene non sempre vanti i medesimi risultati. La Puglia in questo momento sta producendo molto e come spesso accade quando la produzione è vasta non tutto ha una qualità eccellente, molto di quel che vediamo pecca di localismo, ha un atteggiamento piccino e autoriferito. Noi siamo Francesco si pone esattamente a metà tra il localismo e la ricerca di uno sguardo e delle ambizioni nazionali.

Contornato da cibo, paesaggi e tutte le caratteristiche che la film commission promuove, il film di Guendalina Zampagni si batte per raccontare una storia che ambisce ad essere poco convenzionale ma sembra essere continuamente incatenata al consueto.

Francesco non ha le braccia, è nato senza, ha 22 anni e conduce una vita normale: studia, sta a casa con la madre e riesce a fare (quasi) tutto. Arrivato alla sua età il passo più grosso è però soddisfare le pulsioni sessuali, lo hanno capito ormai tutti, madre apprensiva inclusa. Per fortuna nella sua vita compare una ragazza attratta dal suo atteggiamento intellettualmente fiero e non respinta dall'handicap.

Intorno a questi eventi si snoda l'interesse della regista, intorno all'idea di un istinto sessuale e sentimentale represso per paura, complessi e difficoltà di vivere il proprio handicap in un'età in cui chiunque si sente in difficoltà. La materia è difficilissima da maneggiare, un film adolescenziale con in più la voglia di andare oltre le normali dinamiche, con un livello in più e uno decisamente ingombrante. Forse proprio per questo Noi siamo Francesco sembra riuscito solo parzialmente, ogni qualvolta potrebbe approdare verso un momento sincero e onesto viene frenato da soluzioni sciatte e una scrittura priva di mordente.

Con una seconda metà molto debole, tirata per le lunghe e incapace di mantenere alto il ritmo, alcuni personaggi non propriamente centrati (l'amico vitale non riesce mai a passare da macchietta a personaggio) e altri che girano proprio a vuoto (la madre o lo sprecatissimo Paolo Sassanelli), la storia di Francesco si anima solo quando è presente Francesco stesso, ovvero Mauro Racanati, realmente privo delle braccia e sorprendentemente bravo a portare se stesso e il suo fisico in scena. Con i suoi movimenti poco convenzionali e le abilità causate dalle disabilità (mangia con i piedi, per dirne una) crea una discontinuità e dei cambi di ritmo sempre affascinanti. Per fortuna Guendalina Zampagni ha capito benissimo come vada inquadrato e come raccontare la sua presenza (cosa che non era stato in grado di fare Brizzi con Raoul Bova in Indovina chi viene a Natale?), riuscendo così a rimettere in pista il film. Perchè quello di Mauro non è solo un corpo particolare, è proprio un polo di attrazione all'interno di un'opera che altrimenti non ne avrebbe.

Errata corrige:
Mi scuso per l'errore, Mauro Racanati non è realmente privo di braccia ma queste sono state cancellate digitalmente in post produzione. Non solo la mia svista testimonia la bontà del lavoro tecnico ma mi sento di esprimere ancora maggior stima per il lavoro dell'attore e per quello della regista nel trovare la maniera migliore per inquadrarlo, una che mi ha ingannato.

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