Noah, la recensione

Lontano dall'estetica religiosa europea e vicino alla spettacolarizzazione hollywoodiana il nuovo film di Aronofsky è facile da respingere, ma accettandone i presupposti svela un'intima grandezza...

Critico e giornalista cinematografico


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Il bello di Aronofsky è come riesca ad unire nella sua filmografia il piccolissimo e il grandissimo, Pi greco il teorema del delirio e The Fountain, trovando equilibri meravigliosi in film come Il Cigno Nero. Non c'è neanche da dire a quale estremo appartenga Noah, filmone biblico che descrive la creazione e il diluvio universale calcando la mano sulla guerra fratricida degli uomini (la malvagità della stirpe di Caino che fu la causa del diluvio). Come è superfluo dire quanto la grande costruzione hollywoodiana alla testa della quale è stato posto il volto di Russell Crowe coincida pochissimo con l'iconografia cui siamo abituati in Europa, più modesta, minimale e dimessa. Più austera. Qui di austero invece non c'è nulla ma, Genesi alla mano, nemmeno di fasullo. Si tratta di un'interpretazione di due ore e passa di qualcosa che è descritto in pochissime pagine.

E' insomma un po' arrogante e molto limitante guardare a Noah senza fare lo sforzo di calarsi nella mentalità del cinema che l'ha prodotto o pretendendo di cambiare la testa all'industria statunitense e sostituirla con la nostra.
Ciò non toglie che in più punti Noah possa irritare per quanto esagera in buonismi, veganesimo, plateali citazioni (il ramoscello d'ulivo portato dalla colomba), apologia di invasamento religioso, espressioni truci e titanismi da film fantasy, materia lontanissima dalla nostra visione della religione e più simile all'epica del cinema fantasy. Può infastidire anche la maniera in cui il sovrannaturale somigli alla magia più che alla volontà divina, cioè a qualcosa che viene dagli uomini invece che essere comandato dall'alto. Però è anche vero che, al netto delle iperboli di messa in scena spettacolare, Aronofsky non ha realizzato un altro The Fountain ma un film a suo modo semplice e rigoroso, che non smussa la Bibbia ma anzi la riporta fedelmente. Giganti inclusi.

Oltre a questo Noah ha un'apprezzabile maniera di conciliare umano e divino, cioè di incarnare un principio religioso da catechismo (ovvero educativo) in uomini concreti, svicolando la tentazione di fare della storia per scegliere senza dubbi il mito (i giganti, presenti nella Bibbia che diventano ammassi di pietra parlante, animali mitologici e battaglie colossali). Se si cerca di guardare il film accettando tutto di esso, anche ciò che appare più respingente, senza considerarlo la trasposizione di una storia vera ma quella di una completamente fasulla, tanto quanto lo sono le altre che vediamo al cinema, è allora possibile trovare degli scampoli di verità.
Sorprende infatti che in un film simile ci siano alcune delle più belle scene di passione, alcune delle più curiose sperimentazioni (il mondo costruito in time lapse), oltre ad una rilettura del simbolismo biblico legato alla colpa che passa per il montaggio tipico di Aronofsky. Associare rapidamente serpente/mela/violenza di Caino in un unico concetto (più volte riproposto) è infatti uno dei molti esempi di come Noah lavori cinematograficamente sui concetti chiave del mito biblico, comprendendoli e offrendone una lettura che favorisce una nuova digestione.
E' insomma molto facile criticare Noah, a tratti sembra addirittura che il film stesso presti il fianco a tali critiche oltre il tollerabile, ma è anche indubbio che la maniera in cui unisce sacro e umano, mitologia contemporanea e trasposizione della Genesi, non è per nulla banale nè merita derisione.

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