Gli orsi non esistono (No Bears), la recensione

Al quinto film dalla proibizione di girarne Panahi riprende ancora se stesso ma in un microcosmo in cui sostituire la videocamera al corano

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Gli orsi non esistono - No Bears, l'ultimo film di Jafar Panahi, presentato in concorso al Festival di Venezia

Jafar Panahi non sconfina. Non ci vuole andare in un altro stato, non vuole scappare dall’Iran che lo perseguita dal 2010, arrestandolo ripetutamente, impedendogli di dare interviste a media nazionali e stranieri e proibendogli di fare film (che affermazione di potere del cinema!). E tutto perché è un cineasta disobbediente che non smette di disobbedire. Ma se c’è una cosa che caratterizza Jafar Panahi è quella di non fare quello che gli viene detto di fare e infatti dal 2010 ad oggi ha girato 5 film in clandestinità, dal carcere, nascondendo la videocamera in macchina o andando sui monti, lontano da tutti, a girare e facendo uscire gli hard disk contenenti i suoi film dal paese di nascosto. 

Lui però dall’Iran non vuole scappare, anche se è tentato e potrebbe. E quando in No Bears (in cui è protagonista nel ruolo di se stesso, come capita negli ultimi film), sarebbe lì lì per farlo, chiede dove sia esattamente il confine con la Turchia e gli viene risposto che praticamente ci sta sopra, allora tira indietro il piede di scatto, terrorizzato, spaventato all’idea di essersene andato o di essere così vicino a farlo. E torna indietro di fretta. Panahi non sconfina, resta in Iran.

In No Bears sta sui monti, isolato e ritirato, che guarda via collegamento internet precario le riprese di un suo film che si sta girando in città, cerca di dare indicazioni in tempo reale, ma non è facile. Intanto nel villaggio in cui è nascosto (nascosto per fare cinema!!) c’è una disputa e una foto che lui (forse) ha scattato potrebbe risolverla. Di nuovo viene messo a processo, anche in quel villaggetto, per quel che ha immortalato (o no). Tutto è grottesco chiaramente, una vecchia tradizione fatta di ipocrisia lo obbliga a compiere un giuramento. Tutto per le regole di questo paesino sembrano valere solo per lui e non per gli altri! Ed è pazzesco che anche lì Panahi, ostinato, pretenda di filmarsi, perché l’audiovisivo per lui è sempre l’unica vera risposta possibile, l’unica forma di verità. Quindi levano il corano e mettono la videocamera. Il video come soluzione ad un problema di immagini. E del resto che capacità dimostra di trasformare tutto, qualsiasi cosa, anche le più ordinarie e apparentemente casuali in cinema. Un tocco magico.

No Bears è un film gentile ed educato come sempre lo sono i suoi, scritto benissimo, in cui vengono creati degli incastri intelligenti, ironici e che dicono tutto quello che c'è da dire, in cui il microcosmo montano rappresenta lo stato, in cui la protesta stavolta si fa gentile, umoristica a tratti e nel quale impressiona ancora una volta come Jafar Panahi racconti (tramite la finzione) se stesso e la propria condizione (e recita sempre meglio, qui ha un'intensità in un finale aperto che è eccezionale). Non solo mostra pubblicamente come faccia a girare film (cosa che per lui è illegale) ma evita di nuovo di rappresentare l’autorità. Lui che sarebbe il più legittimato a dipingersi come un perseguitato e vessato invece fa dire ad un personaggio la frase più potente del film. Dopo che gli è stato intimato di non girare da solo perché ci sono gli orsi, Panahi scopre che “Non è vero, non c’è nessun orso. Sono solo orsacchiotti di carta, è la paura che gli dà quel potere”.

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