Nitram, la recensione | Cannes 74

Marcando tutti i punti della lista del film con protagonista affetto da ritardo mentale Nitram si qualifica per la stagione dei premi anche se senza alcun valore

Critico e giornalista cinematografico


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Nitram, la recensione | Cannes74

Chi se lo aspettava da Justin Kurzel, dopo il Macbeth tutto virato in colori e fumo e soprattutto dopo un film commerciale come Assassin’s Creed trasformato in un piccolo delirio (fallimentare) di design, minimalismo di interni e ancora fumo colorato, che facesse invece un film pienamente convenzionale, una storia vera con protagonista che interpreta una persona con deficit mentale, girato in maniera convenzionale in tutti i sensi a partire dalla fotografia.
Proprio il progetto in cui poter delirare e girare (magari) qualcosa di un po’ allucinato, segue invece la strada dello stile hollywoodiano mainstream, la mano invisibile e il linguaggio delle immagini tradizionale.

Proprio così, mascherato da cineasta mestierante, si svela l’inconsistenza di Kurzel. Senza i suoi trucchi e le sue elaborate trovate sceniche non c’è niente. Girare un film nello stile classico e invisibile e dargli anche un taglio personale è complicatissimo, Nitram invece è la riproposizione di mille film già visti. È la classica biografia (vediamo il vero protagonista da piccolo in un video televisivo proprio ad inizio film) di un personaggio noto nel suo paese ma non da noi, e ci vorrà il finale per farci capire come mai si sia meritato un film su di sé. Nulla in Nitram devia dal consueto percorso di sottolineatura e lettura di una vita difficile alla luce del ritardo mentale, dei problemi interni alla famiglia ed esterni ad essa (una società che vessa e non aiuta). Le tappe ci sono tutte e sono tutte rispettate come se l’obiettivo non fosse fare un bel film ma farne uno che somigli ad altri film di successo.

Nitram conferma l’inconsistenza di un regista che non è mai in grado di leggere la storia che racconta. In questi eventi Kurzel trova la morale più blanda e guarda gli aspetti più grossolani, liscia il pelo al pubblico massaggiandolo invece di sfidarlo. Non usa mai i mezzi a sua disposizione per dire qualcosa di unico e di grande.
Ha preferito girare un film a misura di premi e festival, uno con il ruolo giusto da dare all’attore che lo possa interpretare con più enfasi possibile (e Caleb Landry Jones è lì proprio per quello per confermare una carriera fatta di occhi da pazzo e urla), che tuttavia non sempre fa rima con le capacità e di certo non qui. Nonostante il premio a Cannes che non fa che legittimare questo tipo di scelte e di recitazione.

Di film in film Kurzel è un regista sempre più innocuo e vacuo, un mostro creato da Cannes (che l’ha scoperto, promosso e valorizzato di opera in opera), una scommessa che non sta pagando ma che continuano a fare, gonfiando ad autore un regista senza qualità.
Basterebbe anche solo l’incoerenza plateale del grande discorso finale per squalificare questa pessima operazione di calco di modelli altrui. La scena madre dovrebbe estorcere le lacrime a tutti e invece è un capolavoro di assurdità, con il protagonista, caratterizzato da un ritardo per tutto il film, che risponde in modi arguti alle domande della madre, lanciando le frasi simbolo del film. A Nitram interessa di più fare anche lui quel che fanno gli altri film, incluse le frasi significative in bocca al protagonista, che essere coerente con il fatto che il suo è un protagonista ritardato.

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