Nimic, la recensione del cortometraggio di Yorgos Lanthimos

In pochi minuti con Nimic Lanthimos mette in scena la fine dei privilegi, e le paure che ne conseguono

Critico e giornalista cinematografico


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È da The Lobster che con circospezione e per piccoli avanzamenti Lanthimos si sta muovendo verso il mainstream. Prima attori noti, poi trame più lineari dotate anche di livelli di lettura più immediati, fino ad un film come La favorita, poggiato saldamente nel mainstream ma con un’anima ancora autoriale. Nimic è un cortometraggio presentato nel 2019 al Festival di Locarno che finalmente trova distribuzione, su MUBI in esclusiva (è già online), ed è un ritorno al tipo di linguaggio con cui questo regista era emerso, quello di Alps e Dogtooth.

È la storia di un uomo (Matt Dillon, sempre più simbolo di un maschio che era e che ora non è più, della mascolinità sfuggente) che si vede sostituito davanti ai suoi occhi. Una donna lo incontra in metropolitana, lo segue, replica le sue parole davanti alla moglie e poi lo sostituisce nel letto. Di nuovo in metropolitana sarà il turno di un uomo afroamericano. La trama non ha un senso di per sé, è l’espressione delle paure del benessere, l’incrinarsi della patina di normalità e delle sicurezze da maschio bianco, il terrore di non essere più in cima alla catena alimentare sociale. Le modalità espressive sono proprio quelle dell’incubo, essere inseguiti, non potersi rifugiare, non riuscire a fare niente di fronte all’inevitabile.

A sostituirlo sono una donna e un afroamericano, minoranze prima ai margini della società, secondarie rispetto al maschio bianco, che tuttavia stanno avanzando nella considerazione e nella rivendicazione di un posto al sole. La paura che si prendano tutto, cioè che l’emergere di nuove consapevolezze coincida con il declino del maschio bianco e con la perdita dei crediti e dei privilegi acquisiti è la base teorica.

Tutto avviene all’interno del nucleo familiare come sempre accade in Lanthimos, una casa, un palazzo, una famiglia, un nucleo, sono il posto in cui sentirsi sicuri e da cui attacca i suoi personaggi, posti che dovrebbero essere tane e invece i suoi obiettivi deformanti rendono paurosi, fuori dal normale, insicuri. Anche qui quindi la fuga termina in casa ma proprio in casa avviene la sostituzione con un’intuizione non male, quella della forma dell’abbraccio. Dopo che l’uomo si è sdraiato accanto alla moglie, lo fa la donna e il suo abbraccio, il suo stringere i piedi con lei, sembra migliore, più appropriato, più caloroso e complementare.

Quello stile e quelle idee che Lanthimos al momento sembra aver accantonato per potersi assicurare la sopravvivenza in un sistema cinematografico grande, per accedere a star e fare film come La favorita, non l’hanno mai abbandonato. Quelle idee sono sempre lì, e se non tutte riescono a trasformarsi e prendere una strada più mainstream, finiscono in un corto come questo.

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