Nimic, la recensione del cortometraggio di Yorgos Lanthimos
In pochi minuti con Nimic Lanthimos mette in scena la fine dei privilegi, e le paure che ne conseguono
A sostituirlo sono una donna e un afroamericano, minoranze prima ai margini della società, secondarie rispetto al maschio bianco, che tuttavia stanno avanzando nella considerazione e nella rivendicazione di un posto al sole. La paura che si prendano tutto, cioè che l’emergere di nuove consapevolezze coincida con il declino del maschio bianco e con la perdita dei crediti e dei privilegi acquisiti è la base teorica.
Tutto avviene all’interno del nucleo familiare come sempre accade in Lanthimos, una casa, un palazzo, una famiglia, un nucleo, sono il posto in cui sentirsi sicuri e da cui attacca i suoi personaggi, posti che dovrebbero essere tane e invece i suoi obiettivi deformanti rendono paurosi, fuori dal normale, insicuri. Anche qui quindi la fuga termina in casa ma proprio in casa avviene la sostituzione con un’intuizione non male, quella della forma dell’abbraccio. Dopo che l’uomo si è sdraiato accanto alla moglie, lo fa la donna e il suo abbraccio, il suo stringere i piedi con lei, sembra migliore, più appropriato, più caloroso e complementare.Quello stile e quelle idee che Lanthimos al momento sembra aver accantonato per potersi assicurare la sopravvivenza in un sistema cinematografico grande, per accedere a star e fare film come La favorita, non l’hanno mai abbandonato. Quelle idee sono sempre lì, e se non tutte riescono a trasformarsi e prendere una strada più mainstream, finiscono in un corto come questo.