Nightsiren, la recensione
Non un folk horror usato come scusa per fare del femminismo ma un film che realizza come il folk horror, in sè, sia femminismo
La recensione di Nightsiren, il film di Tereza Nvotova presentato in anteprima al festival di Locarno75
Nightsiren è un film di risvegli umani, molte sorprese e sabba immaginati. C’è qualche filtro e qualche soluzione streghesca ma non è un film fantastico, bensì uno in cui le persone sono il male, tutte dalla prima all’ultima, uno che nutre un livore così sano per il resto dell’umanità da essere dissetante tanto quanto lo sa essere il suo opposto, cioè quell’amore per le persone che anima film opposti a questo. Qui però la protagonista stessa non fa che testimoniare, guardare e assistere alle malefatte quotidiane prima di subirle. Nonostante ci sia un intreccio propriamente detto e squisitamente classico, fatto di ritorni, agnizioni, scoperte e subitanee scomparse, dentro a questo canovaccio batte uno sguardo spietato e molto moderno, che ribalta tempi e modi, sovverte strutture convenzionali e cerca di evadere come può dalla gabbia del genere che ha scelto.
La forza di Tereza Nvotova sta proprio nel fatto di non aver girato un folk horror come scusa per fare un film femminista ma di aver capito che il folk horror è femminismo, e averlo cavalcato. La maniera in cui rappresenta la stregoneria, come un misto di autonomia, sorellanza, potenza e desiderio sessuale mai represso (anzi liberatorio), è il segno di come questa autrice (a differenza di Eggers, per dirne uno) veda in quei miti una storia di lotta per la liberazione, e ponga le sue protagoniste (per quanto vessate) alla pendice di quel percorso evolutivo mai terminato.