Nightsiren, la recensione

Non un folk horror usato come scusa per fare del femminismo ma un film che realizza come il folk horror, in sè, sia femminismo

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Nightsiren, il film di Tereza Nvotova presentato in anteprima al festival di Locarno75

Il folk horror è sempre di più un’altra maniera di parlare della condizione della donna, solo in prospettiva storica, considerando cioè il presente come il risultato della permanenza di costumi, usanze e mentalità che hanno dominato nel nostro passato, per secoli, e dato vita a leggende. Le streghe stavolta sono in Slovacchia, sono perseguitate, linciate, menate e alla fine bruciate. Ma non nel ‘600, lo erano 20 anni fa in paesini remoti della nazione e ancora oggi una ragazza che viene convocata dal sindaco del villaggio da cui scappò per salvarsi da bambina, si trova a confronto con la comunità che la credeva morta e a cui basta poco per gridare alla strega.

Nightsiren è un film di risvegli umani, molte sorprese e sabba immaginati. C’è qualche filtro e qualche soluzione streghesca ma non è un film fantastico, bensì uno in cui le persone sono il male, tutte dalla prima all’ultima, uno che nutre un livore così sano per il resto dell’umanità da essere dissetante tanto quanto lo sa essere il suo opposto, cioè quell’amore per le persone che anima film opposti a questo. Qui però la protagonista stessa non fa che testimoniare, guardare e assistere alle malefatte quotidiane prima di subirle. Nonostante ci sia un intreccio propriamente detto e squisitamente classico, fatto di ritorni, agnizioni, scoperte e subitanee scomparse, dentro a questo canovaccio batte uno sguardo spietato e molto moderno, che ribalta tempi e modi, sovverte strutture convenzionali e cerca di evadere come può dalla gabbia del genere che ha scelto. 

Con un po’ di incertezza sessuale, momenti incredibilmente liberi e uno scarso senso del dovere nei confronti dei dettami del folk horror americano (viva Dio!), Tereza Nvotova trova una strada tutta sua alla rappresentazione della maniera in cui la società guarda e soprattutto pensa le donne. Dentro al film si trovano alcuni dei luoghi comuni più noti (e reali) del patriarcato (il fatto che costumi solo vagamente più sessualmente consapevoli e autonomi facciano pensare agli uomini che una donna sia a disposizione di tutti, o il fatto che tutti le ritengano di propria proprietà, fino all’idea che qualsiasi donna indipendente sia un male) ma Nightsiren li rimette in scena per dargli una prospettiva ampia, storica, eterna. E tutto questo non lo fa a margine del genere ma grazie al genere e attraverso il genere, manipolandolo e tradendolo se serve.

La forza di Tereza Nvotova sta proprio nel fatto di non aver girato un folk horror come scusa per fare un film femminista ma di aver capito che il folk horror è femminismo, e averlo cavalcato. La maniera in cui rappresenta la stregoneria, come un misto di autonomia, sorellanza, potenza e desiderio sessuale mai represso (anzi liberatorio), è il segno di come questa autrice (a differenza di Eggers, per dirne uno) veda in quei miti una storia di lotta per la liberazione, e ponga le sue protagoniste (per quanto vessate) alla pendice di quel percorso evolutivo mai terminato.

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