Nightbooks, la recensione

Nightbooks di David Yarovesky è un privo di idee e impacciato nei riferimenti, e sembra esso stesso non credere nella sua storia

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Nightbooks, la recensione

Tratto dal romanzo omonimo scritto da J. A. White, Nightbooks di David Yarovesky è un film alla cui base vi un’idea tanto ardita quanto rischiosa: proporre la fiaba di Hansel & Gretel in una veste contemporanea, ammiccante, ripulendola di ogni residuo dark per renderla palesemente metaforica e universale (o meglio, alla portata di un pubblico facilmente impressionabile). C’è però un abisso intero che divide l’obiettivo dal risultato. Nightbooks è infatti un esperimento che rimane tale, un ibrido decisamente non inquietante tra diversi spunti ed estetiche, il cui vero punto debole è l’incapacità di costruire le premesse del suo mondo, le sfaccettature dei suoi personaggi.

Lo si intuisce dai primi minuti che la struttura alla base di Nightbooks è fragile come un castello di carte. Il film parte infatti in medias res con una fretta inspiegabile: non passa neanche un minuto e il protagonista Alex (Winslow Fegley), un bambino che ama scrivere storie dell’orrore, è già scappato di casa ed è finito intrappolato nella casa della strega (Krysten Ritter), dove rimane prigioniero con Yazmin (Lidya Jewett) per il resto del film. Gli sceneggiatori Mikki Daughtry e Tobias Iaconis non si danno in nessun modo il tempo per spiegare la situazione iniziale, ma soprattutto non danno tempo allo spettatore di individuare le coordinate base della storia. Chi è Alex? Perché è finito lì? Per cosa lotta? Non è dato saperlo.

Da subito, quindi, il film chiede uno sforzo enorme a chi guarda per entrare dentro alla narrazione. Uno sforzo che non viene ripagato, tuttavia, per almeno un’ora buona di visione (ovvero quando, per abitudine, si comincia un minimo ad entrare nel film) perché ogni passaggio di trama, ogni scena e ogni momento apparentemente clou risulta banalmente come un semplice bozzetto messo lì a piacere, la copia sbiadita di un modello generico di teen horror da cui si è pescato indistintamente. Già solo i tre personaggi sono una mera riproposizione stereotipica, a cui gli scrittori non aggiungono nessuna caratteristica peculiare: sono esattamente il modello della ragazza schiva e misteriosa, della strega affascinante e sarcastica e del protagonista insicuro di sé e bullizzato. 

La consistenza semplicistica di Nightbooks non viene però solamente dalle mancanze della sceneggiatura. Anche la ricerca visiva risulta in un’estetica piuttosto generalista e confusa dove, tra effetti speciali datati e posticci - come quelli con cui viene realizzato il gatto della strega - si alternano indistintamente spunti e citazioni anni dell’horror anni Ottanta e svogliate idee di messa in scena. A che serve infatti citare La casa di Sam Raimi (che tra l’altro del film è proprio produttore) in una sequenza di inseguimento, o accennare a Creepshow (è anche ilsoprannome di Alex in lingua originale) se di questi spunti non se ne fa niente, limitandosi a dimostrare che li si conosce?

David Yarovesky si è impantanato con Nightbooks in una palude pericolosa di riferimenti e spunti irrealizzati da cui non riesce ad uscire con idee originali. Basta pensare al fatto che la casa della strega, dove tutto si svolge, è un luogo anonimo e privo di interesse, mai esplorato o indagato. Solo la serra notturna mostra un minimo di creatività visiva, tra colori fluo e creaturine indemoniate. Ma, alla fine, è un po’ come se nemmeno Nightbooks credesse in ciò che sta raccontando.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Nightbooks? Scrivetelo nei commenti!

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