La recensione di Night Swim, il film dell'orrore Blumhouse in uscita in sala il 22 febbraio
La Blumhouse si sposta in giardino. Dopo aver costruito una fortuna su film ambientati in casa, raccontando l’orrore, le minacce, i demoni, le presenze e tutto quello che può aggredire dentro le case (che per un popolo come gli americani, cultore della proprietà privata, è il più sacro dei luoghi), ora
Night Swim della casa esplora il giardino con piscina. Questo è un film che appartiene a filone dei film di paura che mirano a spaventare con elementi, dettagli e pratiche di uso quotidiano, ma lo fa con il minimo dell’impegno.
E dire che inizia bene, con tutta una parte che funziona come Lo squalo, cioè giocando con quello che sappiamo prima ancora che la storia parta, il fatto che per quanto faccia finta di no prima o poi si inizierà a morire in quella piscina. Ce l’ha detto il trailer. Bryce McGuire cerca vibrazioni da IT, questioni di acqua che annuncia il male e di questo come alimentato dalla perfidia umana, e trova invece una pessima computer grafica, che diventa criminale quando compaiono delle creature dal design più generico possibile.
La storia di questa famiglia contaminata dall’acqua che diventa un nucleo pericoloso, avrebbe anche qualcosa di interessante, perché
Night Swim parla di un padre con una debolezza che chiede a quell’acqua e a quella presenza di trasformarla in forza (in cambio ci sarà un tributo). Poi però decide di prendere la strada della mancanza di idee e di andare a somigliare a tutti gli altri film. Spuntano le foto inquietanti dei primi del ‘900, c’è la vecchia che sa tutto sulla maledizione da andare a trovare (bella però la fontana in casa!) e un finale ingrato in cui lo spettro della violenza americana, quella dei padri che si trasformano in minacce per mogli e figli, dovrebbe essere sublimata dal sovrannaturale e quindi dai riti, ma in realtà si riduce al maligno preso a mazzate. Le possessioni risolte a schiaffoni.
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