Night in Paradise, la recensione | Venezia 77

Nonostante la grandissima qualità messa in campo Night In Paradise non riesce a tirare le fila di un gangster movie a tratti appassionante

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
Storiaccia ingiusta di malavita coreana, quella di Nak-won-eui-bam (Night in Paradise). La malavita che nei film di Park Hoon-jung si muove nella città, negli aeroporti e negli ospedali con la stessa baldanza dell’aristocrazia imprenditoriale. Come in New World, ci sono gang intere che attendono l’esito dell’operazione del proprio boss sedute fuori dalla sala operatoria, funerali di “famiglia” con tutti gli sgherri e poi i pranzi tutti insieme in trattoria. La malavita è fatta di tanta gente, non sono le famiglie italoamericane contornate di fedelissimi, sono eserciti di gente in giacca e cravatta, sgherri che si muovono a gruppi di 10 armati di coltelli e bastoni (c’è addirittura un inseguimento con mini van per portarli tutti), con a capo 1 o due figure di spicco.

E qui per l’appunto una di queste figure di spicco causa un pandemonio.

Un ragazzo arrembante a cui viene fatta una proposta dalla concorrenza rifiuta. Il giorno dopo muoiono moglie e figlia in un incidente. Difficile sia una coincidenza. Con il beneplacito del clan parte per la vendetta e la porta a termine alla grande, scatenendo una guerra. Per stare sicuro viene spedito su un’isola vicino Vladivostok a svernare con un mercante d’armi e sua nipote malata ma bravissima con la pistola (e come il fucile che una volta inquadrato deve prima o poi sparare, anche lei quell’abilità mostrata all’inizio la dovrà mettere a frutto). Ma la guerra tra bande non può avvenire, la polizia non lo vuole, bisogna risolverla e l’unico modo (concordano tutti) è che muoia proprio lui. Così nella quiete dell’isola lo raggiungerà la malavita coi suoi bastoni e i suoi coltelli.

Vendette a rincorrersi continui tradimenti ma come sempre a Park Hoon-jung sembrano interessare le facce. Non tanto quella del protagonista, molto ordinario, ma lo zio Lee Ki-young con un occhio più grande dell’altro, ineffabile trafficante d’armi privato fuori dal sistema, oppure quella del Capo Ma, boss con capelli all’indietro e pazzesca ragionevolezza interpretato benissimo da Cha Seung-won. Sono proprio questi primi piani stretti sulle facce da gangster, sui personaggi più carichi e sopra le righe che vincono la partita. Perché Night in Paradise non è certo il capolavoro di Park Hoon-jung (che rimane la sceneggiatura di I Saw The Devil) ma ha una qualità invidiabile.

Purtroppo nonostante i molti eventi come troppo spesso gli succede Park Hoon-jung non riesce a tirare le fila, fa tutto bene ma non quaglia. L’idea è di portare in Corea Sonatine, cioè il film di Kitano in cui un gangster mandato in un’isola si perde in scenari fantastici e inizia a condurre un’altra vita, paradossalmente senza pensieri, mentre la vecchia vita, e quindi la morte, continua ad inseguirlo. Park Hoon-jung non è tipo da far poesia come Kitano, non è interessato alle onde del mare, ma semmai gli piace l’idea di una persona che comincia a meditare di altre vite, diverse, entrando in contatto con altri esseri umani mentre è tormentato dalla vecchia vita. Eppure poi non trova mai la quadratura. Nemmeno un finale pessimista e molto onesto con la trama ci riesce e Night in Paradisemanca di molto l'obiettivo di essere memorabile.

Continua a leggere su BadTaste