Niente di nuovo sul fronte occidentale, la recensione

Il nuovo adattamento di Niente di nuovo sul fronte occidentale svicola tutta la parte originale e si perde nel convenzionale e abusato

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Niente di nuovo sul fronte occidentale, disponibile sul Netflix dal 27 ottobre

Ufficiali esaltati e soldati spaventati, ragazzi che sognano quello che gli viene imposto di sognare da una società belligerante, professori che li infervorano con grandi discorsi sulla guerra, l’onore e il farsi valere e poi il fronte, la trincea e la disperazione del vedere intorno a sé solo morte. Il contrasto più interessante alla base di Niente di nuovo sul fronte occidentale è quello tra società e individuo, la maniera cioè in cui tutto il mondo intorno alle persone le spinga verso qualcosa (sia una mentalità, sia un’ideale o siano proprio azioni concrete come partire volontario), di fatto piegando il pensiero, i desideri e i sogni. 

È la parte eterna del romanzo di Remarque e quella che questo adattamento di Edward Berger sfrutta di meno. Molto di più sembra interessato alla ricostruzione, alla pornografia dello scrutare i grandi momenti storici al microscopio, gli incontri tra i potenti che decidono il destino della storia, i dubbi e i tormenti dei grandi uomini. Tuttavia è davvero solo micragnosa ossessione per l’ubiquità (stare ovunque sia possibile stare grazie alle possibilità del cinema) e non reale interesse per le persone o per quello che una storia e una parabola dicono di noi. Lo si vede da come questi grandi personaggi storici sono ridotti al minimo comun denominatore, a bandierine di una fazione (i pacifisti, i guerrafondai, gli arroganti e quelli più umani). Che serve guardarli da vicino se poi non c’è niente da vedere?

Allo stesso modo tutta la parte del film che si svolge sul fronte, tra i soldati comuni, è invece un’altra forma di pornografia, quella dei grandi scenari e del portare lo spettatore sul fronte, quindi bombe, fango, morte, pianti e noia (tanta noia!), e anche lì pochissimo che accenda una scintilla di reale stupore. Berger ha una grandissimo gusto per i paesaggi e gli scenari, riesce a ritrarre una Francia squallida e autunnale in cui non è difficile confondere il fango con il sangue come se fossero della stessa pasta (idea decisamente non nuova ma che ha ancora qualcosa da dire), e di nuovo non ci fa nulla. Anche 1917 con il suo spostarsi e viaggiare in una “mappa” da open world che sembra piena di possibilità riusciva a dire ben di più. Meglio semmai quell’aria dilatata da fine di tutto, in cui nonostante l’arrivo della pace imminente non si smette di essere uccisi (anche dai contadini con fucile), come se la morte fosse qualcosa che ci mette un po’ a fermarsi.

La parte migliore di Niente di nuovo sul fronte occidentale allora potrebbe essere quella del grande passaggio generazionale, ovvero la prima guerra mondiale come quel momento in cui la guerra come fonte di gloria (come erano cresciuti gli ufficiali e i comandanti dell’epoca) si trasforma in la guerra come fonte di infamia (quello che cominciano a pensare le persone in quel momento). È ancora lo scontro di generazioni e il racconto di quella più vecchia che non ha interesse per quella più giovane, la sfrutta e la manda (letteralmente in questo caso) a morire per i propri interessi e soprattutto in base a valori ormai vetusti. Ma di nuovo è un pugno di scene e non di più, come se non contasse, in due ore e passa molto difficili da giustificare.

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