Nessun perdono per i vivi, la recensione

Abbiamo letto e recensito per voi Nessun perdono per i vivi, storia di Daniele Misischia, Cristiano Ciccotti e Stefano Cardoselli

Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.


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Aurelio è il più abile sicario della mala di Roma, ma non il più spietato. All'indomani di un omicidio compiuto su ordine del suo capo, il Re, decide di mollare il mondo della criminalità. Non ne può più di porcate, di sangue, di violenza. Ma, come nel più classico dei film di Mafia, non sarà facile per lui lasciarsi il passato alle spalle, nemmeno dopo aver ucciso, apparentemente, il proprio boss e i suoi uomini più fidati. Così, con questo incipit riconoscibilissimo e immediato, si apre Nessun perdono per i vivi, storia scritta da Daniele Misischia e Cristiano Ciccotti per le matite del talentuoso disegnatore Stefano Cardoselli.

Fare il nome di Cardoselli significa parlare di un fumetto di Cardoselli. Poco importa che ne abbia anche scritta la sceneggiatura o che si sia limitato a firmarne le tavole. Il suo stile espressionista e potente, capace di risultare tanto dinamico e imponente quanto di lasciare lo spazio ai vuoti della tavola, si impone senza lasciare alternative. Nessun perdono per i vivi non lascia alcuno scampo e non ammette eccezioni. Sembrano esserne consapevoli anche Misischia e Ciccotti che scrivono un soggetto scheletrico, una storia di vendetta e sopravvivenza asciugata fino all'osso, che cita volutamente parecchie situazioni narrative già viste e celebrate dal cinema e dal fumetto, appositamente per lasciare spazio alle tavole di Cardoselli.

Le quali mettono in mostra un mondo fatto di linee pesanti come il metallo dei proiettili e dei mitra, di figure umane che si piegano e si muovono nello spazio in modo assurdo come la morale assente del mondo della malavita. Le tavole hanno il sapore tarantiniano tipico di Cardoselli, capace di fondere gli eccessi del tratto di Frank Miller, la disarticolazione inquietante di un giovane Bill Sienkiewicz e l'immediatezza comunicativa dei disegni di un disegnatore punk, quale è sempre stato. Probabilmente, l'etichetta che l'artista si sente addosso più di tutte. Forse l'unica.

"Misischia e Ciccotti scrivono un soggetto scheletrico, una storia di vendetta e sopravvivenza asciugata fino all'osso, appositamente per lasciare spazio alle tavole di Cardoselli."Paragoni importanti, ci rendiamo conto, ma che non riteniamo sconclusionati. Se Cardoselli non è un maestro del Fumetto italiano (e non solo, dato che ha lunghe e importanti esperienze anche all'estero) è perché il suo mondo è volutamente quello dell'underground, perché il suo immaginario sfugge con convinzione alle storie più potabili per il pubblico generalista e perché, dobbiamo ammetterlo pur essendo suoi grandi appassionati, si lascia tentare da una certa dose di ripetitività. Per amare Cardoselli come lo amiamo noi, bisogna accettare una certa abitudinarietà del suo narrare per immagini, l'eterno ritorno delle sue inquadrature alla Sergio Leone a un occhio solo e delle clavicole lussate dalle sue anatomie squadrate. Qui si va in brodo di giuggiole, ma si comprende che possano stancare, alla lunga.

Nessun perdono per i vivi è la ben nota fucilata in stile Cardoselli: trama fulminante, anche nei tempi di lettura, condotta da una violenza esagerata e spettacolare, condita di invenzioni di messinscena e di rappresentazione che si imprimono sulla retina, con i loro giochi di vuoti e pieni a tracciare un mondo a tinte fosche e colori accesissimi, di macchie onnipresenti e di profili irregolari. Rispetto ad alcune sue prove del passato, l'artista ci pare aver optato per un tratto ancora più pittorico che si aggrappa perfettamente a questa storia solitaria e disperata fin dall'inizio, che non fa nulla per nascondere la propria direzione e per creare l'effetto sorpresa. Anzi, Misischia e Ciccotti sembrano chiederci di immergerci nelle atmosfere di questa crime story brevissima ed efferata. La stessa richiesta che lo stile di Cardoselli ci rivolge ad ogni suo lavoro e a cui rispondiamo affermativamente con un certo entusiasmo.

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