Neruda, la recensione

Ancora una volta una sorpresa da Larrain. Il biopic su Neruda è un poliziesco in cui i personaggi cercano di prendere il controllo della propria narrazione

Critico e giornalista cinematografico


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Neruda è ancora una volta un film inatteso e sorprendente da Pablo Larrain, uno che non ci si sarebbe potuti aspettare dall’autore di No e Jackie, un noir tutto finzione, trasparenti in macchina, sogni, visioni ed espedienti teatrali. Un film che fa proprio l'aggettivo "diverso", lo coccola e lo uso per restituire una storia che coinvolge nella maniera che meno ci aspettiamo.
Come fossimo in una storia narrata da Michael Mann un poliziotto e un fuggitivo si danno la caccia. Il secondo è Pablo Neruda, poeta e dissidente, grottescamente esaltato all’idea di iniziare a scappare per la propria vita, animato ed estasiato all’idea di un’epica personale, di aggiungere un tassello alla figura di se stesso che brama. Alla stessa maniera il poliziotto di Gael Garcia Bernal ha anche lui in mente una narrazione per se stesso, un racconto di sé come grande figlio della tradizione poliziesca cilena, l’uomo che prenderà Neruda.

Con questa paradossale giocosità il più anomalo dei biopic sul grande poeta prende la strada della presa in giro mai canzonatoria di questa figura riverita del panorama cileno. Come fosse Sorrentino alle prese con Andreotti, Larrain deforma la vera storia e i veri personaggi, li rende circensi ma non si allontana mai dalla verità. In questo bellissimo film in cui sembra più importante quello che i personaggi si raccontano, rispetto a come stiano effettivamente le vite che conducono, ognuno fa la storia di sé. A partire da un incipit mostruoso per capacità di creare un ambiente, in cui nei bagni del parlamento avviene una battaglia dialettica degna di un film di mafia. Come M.me Bovary questi uomini pensano se stessi come protagonisti di un racconto, di un romanzo o di un film.
Tony Manero del resto si percepiva come il personaggio di La Febbre Del Sabato Sera, il pubblicitario di No creava la promessa di mondo finto, di plastica, per convincere il popolo a dire NO a Pinochet, i preti di Il Clan Il Club vivevano nella finzione e nella menzogna, isolati dal mondo e Jackie Kennedy imbastiva uno spettacolo per la morte del marito, uno che lo raccontasse e lo tramandasse con la grandezza che lei pretendeva.

Tutto questo, questo sforzo che hanno i suoi personaggi di prendere il controllo del film e della loro mitologia, si può applicare a Pablo Neruda e alla sua persecuzione politica, ad un’icona cilena e un combattente per tutto quel che c’è di giusto? Larrain crede di sì con un po’ di ammirabile spirito iconoclasta e tanta fiducia nella forza del falso, del simulato, del non verosimile, la potenza insista nel dire cose più vere di quanto non farebbe il naturalismo. Con uno schiaffo fantastico alle ricostruzioni d’epoca e ai film fedeli ai fatti, questa pantomima spettacolare si allontana ben presto dall’essere un film su Neruda e arriva all’obiettivo dell’essere un film sul desiderio umano di essere altro, di aspirare a di più.

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