Nemesi, la recensione
Tenuto in piedi miracolosamente dallo stile secco del suo autore, Nemesi crolla proprio nel finale in cui doveva trionfare
Nemesi (adattamento poco chiaro dall’altrettanto brutto The Assignment, ammorbidito dall’originale pessimo doppio senso (Re)Assignment) è un film che sembra incrociare l’orrore del dr. Monroe con La Pelle Che Abito in un mondo di vendette, sparatorie e necessità di mantenere una reputazione da killer a pagamento, tipici di Walter Hill.
Per quanto Michelle Rodriguez interpreti senza alcuna apparente consapevolezza un uomo che viene chirurgicamente trasformato in una donna a sua insaputa e che, svegliatosi femmina a tutti gli effetti, decida di andare a vendicarsi di chi l’ha conciato così, senza rinunciare a scappatelle con la sua ragazza di “prima”, Nemesi cerca lo stesso di fare il miglior uso della propria protagonista (sulla carta molto più adeguata che nella pratica). Il film ha purtroppo una maniera molto goffa e produttivamente minima di affrontare un tema che tuttavia in altre mani sarebbe potuto sfociare in una specie di Jail Bail di Ed Wood.
Nonostante infatti una barba posticcia e i lineamente mal induriti che inizialmente propongono Michelle Rodriguez come un uomo (ma la riconosciamo e già intuiamo cosa accadrà), lo stesso Hill riesce a dirigerla in modo da creare uno dei suoi eroi duri, in cui le pochissime parole pronunciate fanno il paio con decisioni imprescindibili e una certa determinazione a parlare con i fatti.
È per fortuna ancora una volta un cinema di eventi e prese di posizione, in cui non c’è speranza per chi cerca la tranquillità sentimentale ma è pieno di occasioni per una vendetta spietata. Forse proprio per questo è così difficile accettare che, dopo aver tenuto duro per tutta la sua durata, il film muoia all’atto di entrare nel territorio d’elezione di Walter Hill. È evidente che Nemesis faccia il lavoro minimo sulla messa in scena, non sia propriamente un film curato e deponga le armi di fronte all’esigenza di una certa sfumatura nel suo villain (il chirurgo matto e geniale di Sigourney Weaver, che per dimostrarsi tale cita Shakespeare e Poe prima di scoppiare in deliri di rabbia), ma che in un film di Walter Hill ci sia una rincorsa verso la vendetta così moscia e priva di quel senso di orrore e limite della propria vita che dovrebbe caratterizzare le cacce del cinema più rigoroso, quello è davvero imperdonabile.