Nell'Erba Alta, la recensione

Noioso e sconclusionato nel comprimere il romanzo, Nell'erba alta vuole essere meglio di un B movie ma non riesce a essere nemmeno quello

Critico e giornalista cinematografico


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Nell'erba alta, di Vincenzo Natali, disponibile su Netflix: la recensione

Dopo E venne il giorno le piante colpiscono ancora e stavolta su Netflix. La trama di Nell'erba alta è tratta da un racconto di Stephen King quindi le piante non hanno semplici intenzioni omicide ma attirano con delle voci di vittime, spostano le persone, le fanno perdere e ritrovare, le fanno viaggiare nel tempo e non le lasciano uscire. C’è una coscienza collettiva superiore, scopriamo una mitologia che ruota intorno a una roccia all’alba dei tempi e tutta quella vaghezza incredibile che ha il distinto sapore di romanzo supercondensato. Soprattutto, l’obiettivo è lasciar emergere il male negli uomini. Nella trama gli esseri umani tirano fuori il peggio di sé agiti da qualcos’altro, nella realtà riconosciamo quegli atteggiamenti come il male che popola gli altri del nostro mondo.

Vincenzo Natali trova il The Cube che è in questa storia, cioè una storia ambientata in un luogo astratto e metafisico nel quale esseri umani si trovano intrappolati e devono uscire. Persone con provenienze diverse e storie diverse che cercano un modo di tornare alla loro vita senza sapere che quel viaggio è la loro passione e redenzione (nonchè possibile morte). A solo pochi passi dall’autostrada c’è quindi un dorato mondo di sole, natura e perdizione ma soprattutto di noia. Tantissima noia che investe lo spettatore quasi da subito, con precisione dal minuto 19 quando viene scoperta la grande roccia e la storia smette di avere ganci e incastri da gestire, da quando non è più una cronaca della tensione del perdersi senza sapersi ritrovare e si apre più di quanto sappia gestire. Il mistero diventa immediatamente confusione e la fatica immensa di guardare comincia a farsi sentire.

Ovviamente abbiamo tutti i metaforoni del caso. Quello della religione che invade le persone e le agisce, i culti che giustificano qualsiasi cosa e le ideologie che rivoltano gli esseri umani contro gli altri ma anche quello che allude al grembo materno che fa scopa con il fatto che uno dei personaggi sia incinta.

Un occhio allenato può intravedere cosa dovesse essere, almeno nelle intenzioni iniziali, Nell’erba alta, ovvero un B movie potenziato in cui l’attenzione sull’azione è scambiata con delle ambizioni esistenziali smodate. Pieno di domande e avaro di risposte per dare modo agli spettatori di lavorarci, questo nuovo lavoro di Vincenzo Natali sembra più la versione non finita di un film, prima del montaggio definitivo quando ancora molto va asciugato e tante scene vanno migliorate, lavorate e cesellate.

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