Nelle Pieghe Del Tempo, la recensione
Pedaogico, stanco, imperfetto e innamorato di se stesso, Nelle Pieghe Del Tempo è portato al cinema con il minimo della voglia di intrattenere
Con un trucco e parrucco degno di un videogioco di ruolo giapponese tipo Final Fantasy, tre guide celestiali aiuteranno la protagonista, suo fratello e loro amico nella ricerca. Sono attrici famose tra cui spicca Oprah Winfrey, in vacanza premio, venerata non solo come personaggio ma dal film stesso come attrice, colossale e importante, inquadrata come un monumento ad un certo punto, in un attimo che genera un po' di imbarazzo, viene carezzata sul volto dalla piccola protagonista: è lì per apparire e fa la minima fatica possibile. Il film inoltre è il primo a non credere nel proprio obiettivo (il ritrovamento del padre), visto come non costruisce la tensione del raggiungimento, come non è intenzionato a divertirsi o spaventarsi o essere in tensione per quel motivo, e di conseguenza gli spettatori cominciano ben presto a non tenere nemmeno loro a quest’obiettivo.
Ovviamente non aiuta il fatto che Nelle Pieghe Del Tempo sia proprio diretto male, privo di quel controllo totale dell’immagine e quella sicurezza in una messa in scena invisibile che sono l’ossatura principale dei grandi blockbuster pieni di effetti digitali (far scorrere il film non affaticando più del dovuto la visione e contemporaneamente fondere vero e finto come se non ci fosse differenza). Invece di avere la sicurezza necessaria Ava DuVernay è scomposta e goffa, non riesce nell’intento di intrattenere, tantomeno in quello di educare, sembra voler sottolineare di continuo le componenti digitali (non sempre ottime) e così non riesce neppure a raccontare una storia piacevole da ascoltare, una verso la cui soluzione lo spettatore desideri correre. Anzi. Nelle Pieghe Del Tempo più avanza, più tortura con le sue continue ripetizioni di attestati di stima reciproca e grandi insegnamenti che paiono tali solo a parole.