Nella Tana Dei Lupi, la recensione

Poliziotti e criminali, le stesse persone su lati diversi della barricata. Per Nella Tana Dei Lupi sono tutti uomini che non possono che battersi

Critico e giornalista cinematografico


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Che Nella Tana Dei Lupi sia un film con un tasso di serietà superiore alla media dei polizieschi che arrivano in sala è evidente da subito, dalla maniera in cui non teme il silenzio e dal fatto che abbia un passo più calmo della media.

Nonostante sia un film di rapine e di caccia ai rapinatori c’è una lentezza confortante, quella di chi è così a proprio agio con questo tipo di racconti che non ha nessun bisogno di correre per creare coinvolgimento. Anzi. Tutta la prima parte della storia scivola comodamente dentro la vita dei criminali e del poliziotto che li sta cercando. I primi iniziano rapinando un portavalori con una serie di vittime impreviste, il secondo arriva sul luogo del crimine e comincia a sospettare ci sia qualcosa di più sotto. Ha ragione.

Nella Tana Dei Lupi non è insomma un film che rifiuta l’impianto classico, anzi lo adora, lo rispetta e lo vuole usare a proprio vantaggio. È un film che non si vergogna di indugiare con piacere negli stereotipi noti, come l’agente di polizia dalla vita privata derelitta, appesantito di mattina dall’alcol della sera precedente e infastidito dal solo arrivare dei maledetti federali con i loro bei abiti stirati sulla sua scena del crimine, ma sa come usare ogni elemento noto e ripetitivo dei polizieschi per compiere quell’impresa encomiabile che è: costruire un classico.

Tutta la seconda parte (almeno un’ora buona) sarà occupata dalla rapina annunciata e pianificata della prima parte, eppure non c’è un secondo di troppo in questa cronaca minuziosa di un colpo e di chi tenta di sventarlo. Non sorprende quindi per nulla leggere il nome di Paul Scheuring, creatore e sceneggiatore della serie Prison Break, alla voce “sceneggiatura”, mentre stupisce di più che una regia così controllata, impeccabile e sicura venga dall’esordiente Christian Gudegast che in curriculum ha solo exploit non propriamente ragguardevoli come la sceneggiatura di Attacco al Potere 2.

Tuttavia sarà forse proprio in virtù della dimestichezza che Gudegast ha con Gerard Butler che qui quest’attore finalmente è perfetto, finalmente sembra interpretare il ruolo giusto per lui in cui realmente fare la differenza: stropicciato e volgare, cattivo e davvero pericoloso. Muovendosi sul crinale di un poliziotto per nulla raccomandabile, troppo simile ai criminali e subito respingente, Butler pare applicare la legge con una goduria eccessiva per essere eticamente irreprensibile e così facendo consente al film di lavorare su un tono violento, senza suonare mai pretestuoso ma anzi molto coerente con i suoi personaggi e il loro mondo di opposti.

L'esatto contrario della presenza evanescente dell'altro nome sfruttato in locandina, 50 Cent, ma decisamente più marginale nel film. È infatti la maschera di Pablo Schreiber quella che si oppone direttamente a Butler.

Nella Tana Dei Lupi svela anche ben presto di avere Heat come modello, la storia della sfida tra un poliziotto e un criminale, è qui però condita con un senso molto più ineluttabile di morte, rovina e pessimismo che aleggia su tutti, e senza quell’astrazione quasi zen che ci mette Mann. Il lavoro quotidiano, l’estrema serietà e dedizione necessarie per raggiungere un’evidente eccellenza, unite ad una morale inscalfibile muovono questi personaggi che impiegano pochissimo a diventare emblemi dei propri ruoli. Non proiezioni giganti delle proprie virtù (o vizi) come è obbligatorio per Micheal Mann ma versioni molto più terra terra, più derelitte prive della coolness e della moda di cui traboccano i suoi film, e anzi confinati in questo mondo fatto di estremi, in cui due persone sostanzialmente identiche sono da parti opposte della barricata e paiono non sapere nemmeno perchè. Come se l’unica cosa che conti non siano i soldi ma scontrarsi e avere la meglio.

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