Nella bolla, la recensione

Tutta la fatica che Nella bolla fa a trovare le ironie più giuste per raccontare le assurdità produttive sotto Covid è sprecata da una sceneggiatura inesistente

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
La recensione di Nella bolla, in uscita su Netflix il 1 aprile

Se può esistere qualcosa di vicino alla serie tv italiana Boris nel cinema americano forse è Nella bolla, film sul cinema di Judd Apatow, prolungamento di Funny People nel settore della produzione di grandi film e parabola sfiduciatissima sul mondo produttivo che per tipo di ironia ricorda il cinismo e il nichilismo della serie italiana. La pandemia è solo una scusa, una maniera per mettere i personaggi (attori, registi e tecnici di una troupe) in un luogo confinato e farli esplodere sotto i colpi di una produzione senza nessuna pietà, espressione della più bieca etica da corporation che sembra una deviazione moderna ma in realtà è la continuazione di mille produttori cinici raccontati, ironicamente, da Hollywood fin dagli anni ‘30. Nulla di realmente aderente ai nostri anni se non per tutti i piccoli dettagli e citazioni di affari, questioni e problemi del nostro tempo.

È ad esempio una questione eminentemente moderna quella che apre la storia, cioè il fatto che Karen Gillian, una delle attrici della serie Cliff Beasts (un fittizio franchise fantasy miliardario arrivato al sesto film, il cui referente più vicino sono le riprese di Jurassic World -Il dominio, realizzate davvero chiudendo la troupe in un hotel sotto COVID), sia finita in un polverone dopo aver interpretato un personaggio per metà palestinese e per l’altra metà israeliana, senza essere né palestinese né israeliana. Di queste idiosincrasie e delle assurdità nella produzione dei blockbuster moderni, messe in risalto dai problemi postpandemici, Nella bolla riesce a tirarne fuori in un numero stupefacente e soprattutto a farne materiale molto divertente, come spesso avviene quando l’industria del cinema prende in giro se stessa.

Il problema è che Nella bolla non fa mai di tutto questo un film. Di tutte le gag e le trovate, di tutte le ironie e gli sfoghi non fa mai racconto vero e proprio e dopo 30 minuti l’impressione è che ne siano passati 90, anche se niente è successo ma abbiamo visto una serie di momenti, scene e sequenze di passaggio obiettivamente divertenti. A mancare è la scrittura in senso propriamente detto, come in una coperta piena di buchi il film procede senza la forza di sostenere le sue trovate e spesso sfocia nella noia plateale. E se a questo si aggiunge che i valori produttivi sono ampiamente al di sotto di quel che solitamente le produzioni di Apatow possono permettersi è facile chiedersi come sia successo tutto questo. Come sia possibile che in uno sforzo simile di riflessione su di sé, uno anche abbastanza imparziale e duro, che non finge di prendere di petto i problemi ma anzi li affronta, poi non esca niente di davvero significativo su quello che il cinema (o l’industria, che per gli americani coincidono) davvero è.

Sei d'accordo con la nostra recensione di Nella bolla? Scrivicelo nei commenti

Continua a leggere su BadTaste