Need for Speed, la recensione
Volutamente banale, lontano da Fast & Furious e più vicino ai film di automobili anni '70, la vera colpa di Scott Waugh è di non essere andato a fondo con le sue idee...
L'idea di trarre un film da un videogioco di corse privo di trama non doveva stupire, gli ultimi anni di cinema "tratto da" ci hanno insegnato che non si tratta di una maniera di sopperire alla mancanza di idee, perchè poi le trame e le sceneggiature sono piene idee e non si appoggiano all'opera d'ispirazione se non per il titolo (sia nel bene che nel male).
Tuttavia è parlare d'ispirazione ad essere sbagliato in sè, Need for speed è semplicemente banale, senza ispirarsi a nessuno.
Waugh infatti viene da una famiglia di stuntmen e egli stesso lo è stato in passato, la professione giusta per il film giusto.
Evitando di andare a parare dalle parti di Fast & Furious, in cui i piloti, come si vestono, gli atteggiamenti che hanno, le donne che possiedono e i tatuaggi che sfoggiano, contano più dei motori, Waugh mette due ragazzi senza tratti particolari dentro l'auto e addirittura dà più personalità allo speaker di Micheal Keaton (figura classica del cinema di ribellione anni '70 che qui è così ribaltato e reso innocuo da essere addirittura un magnate). Allora quello che a questo film davvero manca non è la mano, nè l'idea di fondo ma un po' di audacia nel mostrare il grezzo che si nasconde nelle corse, un po' più di asfalto e lamiera.