Necropolis, la recensione
Trovando la chiave migliore per sfruttare al meglio lo stile found footage, Necropolis mette in scena le basi della paura, le più ancestrali ed eterne ma su una sceneggiatura che non convince
Nel film un'archeologa alla ricerca della pietra filosofale scova la chiave che potrebbe consentirle per prima di localizzare il punto esatto dove cercarla. La trova iscritta su un antico artefatto nascosto in una rete di tunnel iraniani che stanno per essere distrutti, scampata alla morte in quei tunnel si infilerà in quelli delle catacombe che si trovano sotto Parigi, conscia di sapere dove cercare. Neanche a dirlo arrivati là sotto tutto troveranno tranne che ciò che cercavano nel posto in cui credevano fosse.
In tutto questo tripudio d'oscurità e di spazi stretti, di vie occluse e terrore di quel che pare essere sempre dietro l'angolo nel più terrificante degli ambienti (le catacombe) lo stile found footage crea ancor minore stabilità, con la sua poca chiarezza. Con abilità le videocamere raramente inquadrano quel che dovrebbero, vengono sballottate e spesso restituiscono il punto di vista delle vittime (ognuno ne ha una sulla fronte assieme alla torcia). Ecco perchè quest'ennesimo horror found footage sembra essere uno di quelli che più di tutti necessitava dello stile a mano, perchè si nutre di buio e negazione dello sguardo. Peccato quindi che una sostanziale indifferenza a qualsiasi sofisticazione di scrittura renda molti passaggi di Necropolis inascoltabili e faccia di tutto per tirare fuori lo spettatore dal coinvolgimento attraverso una sequela di semplicismi infernali che passano da Dante per finire ai geroglifici e alle rappresentazioni pagane. Tutto mischiato in un generico "maligno" un tanto al chilo.