NBA 2K18, ennesimo tiro vincente per Visual Concepts - Recensione

Dal campetto dietro casa, alle arene della lega professionistica: la recensione di NBA 2K18

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


Condividi

Il voto a fondo pagina, così come l’entusiasmo nel ritrovarsi di fronte un prodotto ulteriormente perfezionato, è lo stesso di un anno fa, identico a quello conquistato e meritato da NBA 2K17, iterazione che ci aveva totalmente conquistati grazie ad una modalità storia ben realizzata, alla grafica nettamente potenziata, ad alcune finezze che inspessivano enormemente le meccaniche che regolavano la gestione di team e giocatore creato da zero tramite apposito editor.

Visual Concepts riesce nuovamente nella magia, per quanto un’ombra, pur pallida, lentamente ma progressivamente stia oscurando il brand, una minaccia che fino ad oggi avremmo potuto definire fantasma, passateci la citazione, mai come quest’anno evidente e penalizzante soprattutto nei confronti di chi è solito fruire delle simulazioni sportive come un semplice passatempo, senza viverle come un ossessivo rituale da ripetersi convulsamente ogni giorno.

[caption id="attachment_178078" align="aligncenter" width="1920"]NBA 2K18 screenshot Anche quest’anno si segnalano piccoli problemi al netcode per quanto concerne le partite online. Piccole sbavature, sia ben chiaro, ma che a confronto con la perfezione di tutto il resto risaltano tanto più.[/caption]

Togliamoci il dente, allora, perché seppur non faccia proprio male, qualche fastidio lo causa, un indolenzimento che indispettisce, quando non frustra, tutto legato alla politica con cui Visual Concepts, tramite 2K Games, sta gestendo e causando una vera e propria inflazione del conio virtuale con cui si possono acquistare, sullo store in-game, divise, arene, giocatori e team con cui ampliare ulteriormente la già mastodontica offerta.

Il problema di fondo è che ottenere sufficienti VC, per gareggiare ad armi pari online, o per avere vita più facile in modalità come Il Mio GM, è semplicemente impossibile a meno che non si voglia dedicare moltissimo tempo al gioco, vincendo partite su partite, o correndo negli shop dedicati per scambiare un po’ di valuta reale, con quella digitale."Visual Concepts riesce nuovamente nella magia, per quanto un’ombra, pur pallida, lentamente ma progressivamente stia oscurando il brand."

Poco male finché si tratta di una nuova capigliatura per il proprio avatar, discorso ben diverso quando vi accorgerete che, persino per avere semplicemente maggiori chance in fase di trade con il free agent di turno, vi toccherà attivare delle abilità temporanee specifiche, operazione che, ovviamente, vi richiederà l’esborso di un certo quantitativo di VC.

Questa precisa manovra di marketing, travestita da scelta di game design, come se non bastasse, influenza e non poco l’andamento de Il Quartiere, nuova modalità storia di NBA 2K18 che, sacrificando tutto il fascino della sceneggiatura confezionata per l’occasione da Spike Lee un paio di iterazioni fa, sbalordisce il videogiocatore con un’affascinante e stuzzicante mappa open-world, vera e propria hub interattiva tramite cui gestire la vita del proprio alter ego dentro e fuori dal campo.

C’è il barbiere, il tatuatore, ci sono naturalmente i campetti, fulcro e scintilla da cui si origina l’improbabile epopea di un giocatore che dal playground a due passi da casa, riesce a farsi notare da uno scout NBA che lo proietterà immediatamente nella lega professionistica. La trama, senza alcun dubbio, è quanto di più assurdo e dimenticabile si potesse concepire, anni luce distante non solo da Il Viaggio di FIFA, che in questo senso rappresenta sicuramente l’apice, ma anche dall’intrigante esperimento, per quanto parzialmente fallito, di Spike Lee.

[caption id="attachment_178079" align="aligncenter" width="1200"]NBA 2K18 screenshot Dopo l’esperimento, fallito, delle squadre di Eurolega, quest’anno Visual Concepts ha optato per trenta squadre classiche: team composti dai migliori giocatori di ogni rispettiva franchigia. Che ne dite dei Lakers di Kobe, Shaq, Magic, Kareem e Wilt?[/caption]

Ciononostante è impossibile non restare avvinghiati ad una sovra-struttura ludica, quella open-world, che confluisce con estrema armonia ed equilibrio nelle sessioni più canoniche della saga: le partite vere e proprie. Se sul fronte puramente contenutistico, tra Il Mio GM, La Mia Squadra e le squadre classiche, che racchiudono al loro interno i migliori giocatori delle rispettive franchigie, c’è davvero poco di cui lamentarsi, dal punto di vista del gameplay le perplessità si riducono ulteriormente, nonostante per un neofita diventi, iterazione dopo iterazione, sempre più complesso iniziare da zero, senza quantomeno prevedere un lungo e complicato periodo di apprendistato.

Il tiro, in particolar modo, è diventata un’azione difficile da compiere senza sbavature, visto che il lasso di tempo per gestire il rilascio del pallone si è ulteriormente accorciato. Nulla che un po’ di sana pratica non risolva, beninteso, sebbene il tutto sia tutt’altro che meccanico, predefinito, totalmente ed esclusivamente dipendente dall’abilità del videogiocatore. Le variabili in gioco, difatti, sono moltissime, la maggior parte delle quali dipendono dalla fisicità dei contrasti tra i giocatori.

Già NBA 2K17 aveva puntato forte sul rendere ogni contatto più impattante, evidente, influente sulle capacità di attaccare o difendere del giocatore selezionato. Questo capitolo, se possibile, fa ancora meglio, costringendo tanto più l’utente a rispettare il playbook, a costringere la difesa a ruotare fino a perdere i riferimenti, ad opporre resistenza in post-basso per impedire al centro di arrivare facilmente al ferro.

Le animazioni che muovono ogni atleta, da questo punto di vista, non sono semplicemente un meraviglioso orpello estetico, ennesima dimostrazione dell’abilità degli sviluppatori in campo tecnico, ma hanno anche un preciso ruolo sotto il profilo ludico.

Anno dopo anno si fa sempre più fatica a descrivere nei dettagli le migliorie apportate dal team di sviluppo, si corre il rischio di ripetere sempre le stesse cose del resto, ma NBA 2K18 segna davvero un sensibile avvicinamento alla simulazione definitiva. Proprio per questo si tratta di un titolo che pretende un pubblico sempre attento, accorto, disposto ad imparare, anche e soprattutto passando attraverso numerose e sonore sconfitte.

[caption id="attachment_178077" align="aligncenter" width="1200"]NBA 2K18 screenshot Come di consueto, cut scene, interviste e statistiche di ogni genere arricchiscono il pre e post partita.[/caption]

NBA 2K18 unisce il solito quantitativo trasbordante di contenuti, tra modalità ed amenità estetiche di ogni tipo, ad un gameplay solido e ulteriormente impreziosito da piccoli aggiustamenti e migliorie. Peccato solo per la gestione della valuta digitale. L’inflazione dei VC inizia ad essere un problema, soprattutto per chi non è disposto a investire troppo tempo di fronte alla TV con il pad tra le mani, ma vuole comunque competere soprattutto online.

Da appassionati di basket e di NBA va acquistato senza alcuna remora. Il sensibile miglioramento del gameplay, per quanto sempre rilegato e legato a piccoli dettagli, rende l’iterazione appetibile anche ai possessori di NBA 2K17. Sconsigliato solo a chi vede i titoli sportivi come un piacevole passatempo a cui dedicare poche energie mentali. La saga di Visual Concepts è difatti agli antipodi rispetto ad NBA Jam e ai vecchi capitoli di NBA Live. Solo con uno strenuo allenamento otterrete soddisfazioni e divertimento che, poco a sorpresa, NBA 2K18 sa regalare a palate.

Continua a leggere su BadTaste