NBA 2K17, la recensione
Le leggende si ritirano, Visual Concepts continua imperterrita a stupire il suo pubblico: la recensione di NBA 2K17
Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".
Il quintetto di imberbi e giovani speranze, dei Giallo-Viola dell’oggi e del domani, ci mettono certamente dell’impegno. D’Angelo Russell è un discreto passatore, piuttosto affidabile dall’arco. Jordan Clarkson offensivamente è un buon jolly. Julius Randle è un torello, a suo agio nell’elargire sportellate sotto canestro. Poi c’è il rookie, Brandon Ingram, il magrolino che ricorda Kevin Durant, con tanto da dimostrare essendo stato scelto addirittura con la pick numero due agli scorsi draft. Non manca l’esperienza ad inspessire il roster, giocatori come Luol Deng, difensore tutto d’un pezzo, e Timofej Mozgov centro chiamato al riscatto dopo una stagione tutt’altro che entusiasmante, ma questi Lakers, guidati da un giovanissimo allenatore, l’ex-ala piccola Luke Walton, che a ben vedere non gode di un alter ego digitale particolarmente somigliante, restano una combriccola piuttosto confusionaria, in balia del loro talento acerbo e altalenante.
Mettiamola così, usiamo questa comoda scusa per giustificare i nostri primi insuccessi, inevitabili imbarcate e sonore sconfitte, che ciclicamente e irrimediabilmente collezioniamo ad ogni nuova edizione di NBA 2K, dopo appena qualche mese senza continui ed intensivi allenamenti. “Colpa del vento”, insomma, mica di una cronica incapacità, figlia di anni e anni di NBA Jam e NBA Live, che fondavano i loro gameplay su ben altri cardini, più o meno distanti dall’imperativo di realismo e simulazione senza compromessi tanto cari, al contrario, alla produzione di Visual Concepts. La filosofia di fondo, per farla breve, è rimasta intatta, con qualche ulteriore inasprimento, in senso buono, nonostante qualche piccolo e superficiale difetto qua e là.
Come sempre, la modalità MyPlayer vedrà suddetto atleta iniziare al college, fare la gavetta nel suo primo anno di NBA, sino a diventare, a seconda delle prestazioni sul campo, un titolare, un mediocre gregario o una superstar a tutti gli effetti. Durante le partite controllerete unicamente il giocatore da voi creato, decidendo di volta in volta se rispettare gli schemi imposti dall’allenatore o cavalcare con continuità l’uno contro uno. Oltre alle statistiche racimolate nei match, per l’andamento della carriera, avranno un peso determinante le decisioni che prenderete fuori dal campo. A quanti allenamenti partecipare, quali contratti firmare, chiedere una trade, rinnovare il proprio contratto: l’ambito gestionale del tutto è stato ulteriormente approfondito. Al contrario di quanto accadde con NBA 2K16, edizione che vedeva la partecipazione straordinaria di Spike Lee, la trama che fa da sfondo alla modalità è enormemente meno curata. Si ha la possibilità di dare vita a un dinamic-duo, in combo con un compagno di squadra anch’esso draftato dalla vostra stessa squadra, ma l’arco narrativo preimpostato dagli sviluppatori si tiene alla larga da certi toni drammatici che avevano infastidito parte del pubblico solo un anno fa.
[caption id="attachment_160737" align="aligncenter" width="600"] Lo stick destro è deputato al controllo del giocatore sia durante il palleggio, che durante la fase di tiro. In base alla direzione in cui si muove l’analogico potrete eseguire diversi trick e optare per un tiro di tabella o un fade-away.[/caption]
Affianco a MyPlayer ritroviamo le stesse modalità di sempre. MyPark, in cui affrontare altri utenti online in veloci 2vs2 o 3vs3 in pieno stile playgroung; MyGM, che vede ulteriormente approfondite molte delle meccaniche gestionali; MyLeague, in cui decidere a tavolino ogni regola di regular season e play-off, compreso l’eventuale ampliamento della lega con la creazione, da zero, di nuove franchigie; MyTeam simile all’Ultimate Team di FIFA in cui amalgamare una squadra utilizzando le figurine dei giocatori trovati nei pacchetti. Il sottostrato di modalità, e annessi siparietti in stile ESPN, è stato ulteriormente potenziato e affinato rispetto al passato, con il chiaro obiettivo di offrire un’esperienza il più possibile verosimile e longeva.
"Servono ancora molta pazienza e determinazione per scendere a compromessi e dominare il gameplay"Le migliorie si notano anche sul campo. I giovani Lakers di cui sopra faticano ad esprimere un buon gioco, affidati alle inesperte mani di uno, sempre il sottoscritto, che l’Attacco Triangolo l’ha visto esprimersi per anni sotto la direzione di Phil Jackson, ma che non ha la minima idea di come impostarlo effettivamente. Gli schemi preimpostati, che segnalano con icone e linee i movimenti e passaggi da effettuare, tornano prontamente anche quest’anno a togliere le castagne dal fuoco. A rendere la situazione ancora più vivibile e digeribile per il neofita, fortunatamente, ci pensa il sistema freelance. Sia in attacco, che in difesa, tramite la pressione di un paio di tasti, potrete selezionare e aggiornare costantemente la disposizione degli atleti sul campo, il loro atteggiamento e le linee guida da seguire, in base al portatore di palla, alla posizione della sfera e al tipo di gioco che in generale si vuole imporre. Mai più, dunque, compagni di squadra immobili, in passiva attesa che il videogiocatore faccia qualcosa. Basta ordinargli di eseguire dei tagli, di liberarsi sulla linea da tre o di prendere posizione in post, per vederli belli attivi, utili alla causa anche in assenza di specifiche direttive dell’utente.
Servono ancora molta pazienza e determinazione per scendere a compromessi e dominare il gameplay di NBA 2K, ma tra schemi preimpostati e freelance system il tutto è diventato estremamente più godibile e immediato. Non è ancora il gioco con cui intrattenere i propri amici nella classica serata di “cazzeggio”, ma se volete iniziarvi alla saga si tratta certamente dell’iterazione ideale. Le altre migliorie del gameplay si concentrano soprattutto sul motore fisico, più a suo agio nel restituire i contatti tra i giocatori e nel calcolare la traiettoria del pallone, soprattutto nei casi di intercetti e collisioni con il ferro del canestro. In termini pratici, mai come in NBA 2K17 la difesa è fondamentale per avere la meglio sugli avversari. Con il giusto tempismo si ruba più facilmente la palla, il pivot che occupa l’area rende praticamente impossibile qualsiasi incursione avversaria, il taglia fuori garantisce maggiori probabilità di recuperare il rimbalzo. Di contro, se diventa più semplice il movimento della squadra in attacco grazie al freelance system, sperare di segnare senza un minimo d’organizzazione è impensabile.
[caption id="attachment_160738" align="aligncenter" width="600"] Anche quest’anno, oltre alle franchigie dell’NBA è possibile utilizzare una manciata di squadre dell’Eurolega e alcune squadre del passato come i Bulls di Jordan.[/caption]
Non è tutto perfetto. L’online è migliorato, ma continua ad avere qualche problema di netcode. Buona parte delle espressioni facciali e alcune animazioni tradiscono un’eccessiva plasticità. La difficoltà di gioco è mal calibrata: al livello più basso ci si ritrova con tiratori praticamente infallibili, a quello intermedio, invece, le chance calano fin troppo drasticamente in qualsiasi situazione. Difetti comunque tutt’altro che influenti sulla godibilità generale, utili più che altro a ricordarci che la perfezione, fortunatamente, non è di questo mondo.
NBA 2K17 non stupisce, nel senso che chiunque non si aspettava altro che l’ennesimo capolavoro da parte di Visual Concepts. Se i Lakers-fan saranno distrutti dall’assenza, non completa a dire il vero, del beniamino che per vent’anni ha fieramente indossato la casacca Giallo-Viola, i semplici appassionati di basket non potranno che accogliere a braccia aperte l’ennesima iterazione che alza ulteriormente, pur senza concorrenti, l’asticella degli standard qualitativi nel campo delle simulazioni cestistiche. Da avere a tutti i costi a meno che non siate amanti di esperienze più votate all’arcade, tutt’ora indomiti nella ricerca di un degno seguito di NBA Jam o dei cari NBA Courtside con il giovane Kobe Bryant in copertina.