Navalny, la recensione

Pedissequo e troppo innamorato del suo soggetto, Navalny è tuttavia un documentario dotato di immagini che nessun altro può vantare

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Navalny, il documentario in uscita in sala dal 10 maggio

È stupefacente quanto nell’ultimo decennio il cinema e in particolare una nuova forma di documentario militante, sicuramente digitale, sia presente là dove avvengono i fatti di maggiore importanza del nostro tempo e abbia costituito la cronaca più affidabile dei maggiori sovversivi, cioè delle persone che in modo diversi e per ragioni diverse si sono battute contro il sistema, pagandone lo scotto. Risk, che racconta da vicino la parte più clamorosa e concitata della vita pubblica di Julian Assange, Citizenfour, attaccato ad Edward Snowden nei giorni in cui fuggiva dagli Stati Uniti in seguito alla maggior fuga di notizie della sua storia e poi ancora TBP:AFK, il film su cosa è successo ai fondatori e gestori di ThePirateBay. Chi ha raccontato da vicinissimo figure e maniere in cui la cultura globale dal basso si sia battuta contro il potere, è stato il cinema.

Lo è ancora con Navalny, anche se in un modo che pare subito un po’ più sbilanciato del solito. Daniel Roher segue il principale dissidente del regime russo come abbiamo visto avvenire negli altri documentari, con uno straordinario accesso in tempo reale agli eventi che, tra il loro avvenire e l’uscita del film finito, hanno fatto la storia. È lì quando Navalny è convalescente, è lì quando indaga con Christo Grozev su chi l’abbia avvelenato ed è lì quando tenta una serie di telefonate ai suoi attentatori, fingendosi un burocrate del governo, per farli confessare. E riuscendoci! È effettivamente la storia nel momento più banale del suo svolgersi. Certo Roher come gli altri documentaristi elencati fa di tutto per renderla epica, per dargli l’afflato di un film o di una serie (in questo caso siamo tra i Coen e Chernobyl) e sarebbe ingenuo non notare piccoli espedienti di messa in scena, ma nondimeno quello è il momento in cui un piccolo pezzo di storia è andato avanti.

Navalny per il resto non è quello che si potrebbe definire un buon documentario, è molto pedissequo e totalmente soggetto al proprio protagonista, lo adora e non è capace mai di dare una lettura degli eventi che non sia l’esaltazione dell’abilità di Alexey Navalny e della stupidità del regime contro cui si batte (ignorando o passando rapidamente sulle questioni più controverse). Nondimeno ha dalla sua la forza di immagini che nessun altro ha, aver filmato quel che per altri è infilmabile. E se non è questo, in un certo senso, il cuore del documentario migliore, non tanto riprende una realtà che domani sarà ancora lì ma aver ripreso l’hic et nunc, il momento irripetibile nel luogo in cui è avvenuto, è difficile dire cosa possa esserlo.

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