La natura dell'amore, la recensione

Un film adolescenziale, con due diversi amori, uno fisico e uno mentale, diventa in La natura dell'amore lo studio di uno strato sociale

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di La natura dell'amore, il film di Monika Chokri al cinema dal 15 febbraio

Qualcuno ha preso l’intreccio di una commedia sentimentale ed eccitata da high school americana, qualcosa che titilli i desideri giovanili e la fantasie romantico-sessuali più primarie, e l’ha trasformato in un film da festival per quarantenni, a colpi di ombre nella fotografia, colori e zoom demodé, recitazione sofisticata e una colonna sonora da cinema francese degli anni ‘70. È stata Monica Chokri, regista e sceneggiatrice franco-canadese (con un passato di attrice anche in un paio di film di Xavier Dolan: Laurence Anyways e Les Amour Imaginaires) che ha messo in piedi la storia di una docente di filosofia quarantenne, esperta dello studio delle relazioni sentimentali, accoppiata con un uomo dal profilo ugualmente intellettuale, che perde la testa (ricambiata) per un uomo completamente diverso, tutto fisico, bellezza e nessuna potenza intellettuale.

È la dialettica cruciale che anima tutte le storie per adolescenti o tardo adolescenti (o adolescenti dentro), cioè la doppia storia d’amore in cui una ragazza deve scegliere tra due modelli di partner: quello rassicurante che promette amore e fedeltà, e quello tempestoso, sessualmente eccitante ben poco sicuro ma per questo così attraente. Il fatto che il film sia gestito con tutto un altro tono, quello del cinema festivaliero, attenua solo in parte l’ironia e ci inietta dentro lo studio di un certo tipo di categoria umana. La natura dell’amore è tanto un film sentimentale quanto uno sulla parte della società che ama percepirsi intellettuale, che fa lavori intellettuali senza troppo successo ma per la possibilità che questi gli danno di appartenere a un club.

La protagonista è una donna che esercita una professione intellettuale e frequenta altre persone che lo fanno e i dialoghi di queste persone sono sprezzanti, vanagloriosi, narcisi e sempre finalizzati a dire qualcosa su di sé o affermare se se stessi, egoriferiti, piuttosto che a dire qualcosa. Non va meglio all’altro uomo, il cui orizzonte culturale si ferma alla citazione di frasi di un musicista xenofobo, che sbaglia le parole da usare e ha una possessività nei confronti di lei da medioevo. E forse proprio qui, in questa scelta che nella terza parte del film non è più tra due poli di attrazione ma tra due relazioni problematiche, a cui in entrambi i casi manca qualcosa, di cui vediamo chiaramente i problemi, sta la presa di posizione più interessante di Monika Chokri.

La natura dell’amore è solo inizialmente una storia di desideri diversi in conflitto, sempre di più diventa una storia in cui ciò che vuole il corpo non è ciò che vuole la testa, e di una donna che deve scegliere quale parte di sé frustrare, a cosa rinunciare, e che tipo di compromesso accettare. In questo non solo c’è uno sguardo più onesto sul sentimento ma proprio sul sentimentalismo, cioè sull’accentuazione della tenerezza nelle manifestazioni affettive. Qui non c’è niente di tenero e tutto di spietato, problematico e necessario. Magalie Lépine Blondeau e Pierre-Yves Cardinal anche quando recitano le scene di sesso sono così bravi e così sulla stessa lunghezza d’onda, da parlare al tempo stesso sia dell’incontrastato primato del corpo e dei sensi sulla mente che del bisogno personale che la protagonista ha di essere come l’altra persone la fa sentire, più che amarla.

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