Nato a Casal di Principe, la recensione
Rifiutando di diventare cinema di genere Nato a Casal di Principe racconta un rapimento tramite il filtro del cinema civile ma il risultato non lo premia
Questo perché Nato a Casal di Principe sembra voler essere altro, cinema di denuncia ovviamente ma anche un film in cui il territorio è molto più protagonista dei protagonisti stessi. La ricerca dello scomparso diventa in breve un’esplorazione e una documentazione di quella zona. Le parti più interessanti di questo film, che purtroppo non sempre riesce ad essere all’altezza del tono che si prefigge, sono quelle in cui si procede di casa in casa, si ascoltano testimonianze di altre persone in cerca di figli scomparsi, in cui si esplorano tutte le possibilità e con esse chi vive in quella zona e chi è nella stessa situazione dei protagonisti. In cerca di qualcuno.
Eppure in questo film in cui il vero villain che combatte contro i protagonisti è il tempo, il cui passare fa affievolire le speranze e alzare l’ansia, sembrano essere più le angolature e gli spunti della storia che vengono persi di quelli che vengono sfruttati. C’è molto in questo rapimento realmente accaduto a cui Nato a Casal di Principe pare non essere interessato. Non è solo una dinamica più di genere, ma è anche una maggiore cognizione di cosa animi i personaggi. Del resto l’essenza stessa del protagonista è la sua doppia natura di aspirante attore e abitante di Casal di Principe, ma di questo dettaglio non ne viene fatto molto.