Natale a tutti i costi, la recensione

Il secondo remake francese che arriva fondato sul denaro e su come sveli le ipocrisie dei rapporti familiari è meglio dell'altro

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Natale a tutti i costi, in uscita su Netflix il 19 dicembre

Forse per la prima volta nella sua carrieraChristian De Sica è un attore di supporto in un film di Natale. In questo remake di una commedia francese nel quale è il padre di una famiglia di 4 elementi in cui i genitori, stufi del fatto che i figli ormai grandi non si facciano più vedere o sentire a meno che non ne possano trarre un immediato beneficio e considerino i genitori come una scocciatura, decidono di inventarsi di aver ricevuto un’importante eredità, è Angela Finocchiaro (sua moglie nella finzione) a gestire tempi e intreccio. È lei a sorreggere tutta la parte di commedia, dare carattere e unicità al suo personaggio, così che anche il film ne abbia, ed è lei il personaggio protagonista, quella il cui arco narrativo e le cui paturnie portano avanti la storia.

È un bel cambio rispetto a Poveri ma ricchi, film molto simile nell’impostazione, remake francese anche quello, fondato sull’influenza del denaro nei rapporti familiari, in cui De Sica era il padre di una famiglia di miserabili sulle cui teste piove una fortuna. Lì lo svelamento delle meschinità di una famiglia popolana e provinciale aveva le caratteristiche della macchietta, e giocava sul comico spinto; lo svelamento dell’ipocrisia dei rapporti più stretti in una famiglia borghese (i figli sognano un benessere lontano ma paradossalmente hanno lavori remunerativi) invece ha più toni da commedia sofisticata. Entrambi come sempre si fondano sulle interpretazioni.

Come tipico delle commedie italiane infatti la scrittura è sottomessa alla prestazione degli attori. Natale a tutti i costi non fa eccezione ma una volta tanto l’impressione è che specialmente per il cast meno noto (i due figli Claudio Colica e Dharma Mangia Woods) la scrittura sia più rilevante della media, e che loro non siano abbandonati in balia delle scene, costretti a relazionarsi con gli attori più navigati, subirli o entrare in competizione con loro ma siano anzi sorretti da personaggi che hanno un carattere, sono delineati con un po’ di impegno e possono esistere autonomamente, anche nelle loro gag.

Questa sensazione di una scrittura un po’ più solida è confermata anche da una mescolanza di toni (rarissima in film simili), cioè la consueta melassa da commedia di Natale è contaminata da un’amarezza concreta, in cui il film (e quindi il suo regista e sceneggiatore unico Giovanni Bognetti) crede davvero. Non si tratta del solito cinismo comico ipocrita (forte all’inizio ma poi convertito in buoni sentimenti alla fine), non è il solo divertimento nel guardare personaggi pessimi nell’atto di essere pessimi, ma anche una certa mesta rassegnazione a ciò che fa soffrire gli esseri umani e un atteggiamento molto dettagliato nell’osservare come questo accada. Sono poche scene, molto brevi e non centrali per il film, ma al tempo stesso sono anche momenti che non si trovano in altri film di questo tipo. Addirittura nel finale c’è anche un uso antifrastico di addobbi e Natale, non per quello che significano solitamente (felicità e buoni sentimenti) ma per il loro opposto. 

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