Natale a tutti i costi, la recensione
Il secondo remake francese che arriva fondato sul denaro e su come sveli le ipocrisie dei rapporti familiari è meglio dell'altro
La recensione di Natale a tutti i costi, in uscita su Netflix il 19 dicembre
È un bel cambio rispetto a Poveri ma ricchi, film molto simile nell’impostazione, remake francese anche quello, fondato sull’influenza del denaro nei rapporti familiari, in cui De Sica era il padre di una famiglia di miserabili sulle cui teste piove una fortuna. Lì lo svelamento delle meschinità di una famiglia popolana e provinciale aveva le caratteristiche della macchietta, e giocava sul comico spinto; lo svelamento dell’ipocrisia dei rapporti più stretti in una famiglia borghese (i figli sognano un benessere lontano ma paradossalmente hanno lavori remunerativi) invece ha più toni da commedia sofisticata. Entrambi come sempre si fondano sulle interpretazioni.
Questa sensazione di una scrittura un po’ più solida è confermata anche da una mescolanza di toni (rarissima in film simili), cioè la consueta melassa da commedia di Natale è contaminata da un’amarezza concreta, in cui il film (e quindi il suo regista e sceneggiatore unico Giovanni Bognetti) crede davvero. Non si tratta del solito cinismo comico ipocrita (forte all’inizio ma poi convertito in buoni sentimenti alla fine), non è il solo divertimento nel guardare personaggi pessimi nell’atto di essere pessimi, ma anche una certa mesta rassegnazione a ciò che fa soffrire gli esseri umani e un atteggiamento molto dettagliato nell’osservare come questo accada. Sono poche scene, molto brevi e non centrali per il film, ma al tempo stesso sono anche momenti che non si trovano in altri film di questo tipo. Addirittura nel finale c’è anche un uso antifrastico di addobbi e Natale, non per quello che significano solitamente (felicità e buoni sentimenti) ma per il loro opposto.