Natale a 8 bit, la recensione
Natale 1988, non si trovano console Nintendo in un paesino di provincia in cui tutti ne desiderano e faranno ogni cosa per averne una
C’è modo e modo di fare nostalgia. La materia in sé è incendiaria, è il massimo del ruffiano e al tempo stesso il massimo del coinvolgente, è l’arma fine di mondo che con molta facilità colpisce un pubblico ampio anche con uno sforzo minimo, il rifugio di chi non ha molti altri mezzi se non fare appello ai sentimenti più semplici. È una melassa così appiccicosa che se prende il sopravvento oscura tutto quello che di interessante può esserci. Ma è anche chiaro che ci sono modi di lavorare sulla nostalgia con stile, di utilizzare quel tipo di affetto facile e di indugio sui ricordi per trovare dentro ogni spettatore qualcosa di universale. Ed è esattamente su questo crinale semplice (ma in realtà complicato, come tutte le cose semplici quando devono essere raggiunte) che si muove Natale a 8 bit, nostalgico e ruffiano già dal titolo, indirizzato al pubblico cresciuto negli anni ‘80.
Kevin Jakubowski (a scrivere) e Michael Dowse (a dirigere) vengono molto più dalla televisione che dal cinema e si vede, Natale a 8 bit è un film di scrittura e come tale funziona molto bene. Anche la spinta finale obbligatoria su un sentimentalismo familiare natalizio arriva con un’onestà che solitamente non si trova in questi film. E la ragione è che esce dalla sceneggiatura, è organico e sviluppato lungo tutta la storia. Ogni dettaglio, anche l’uso di un ottimo umorismo (mai invadente, sempre originale), lavora non solo sulla gag ma sulla definizione dei personaggi. Soprattutto quelli marginali. Non ridiamo di cosa fanno ma ridiamo di cosa sono e (di nuovo: la nostalgia) del tipo di figura archetipa dell’infanzia che rappresentano.