Nata per te, la recensione

Un film di impegno civile che cerca anche di conquistare i cuori, Nata per te però non crea mai vera empatia con il suo protagonista

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Nata per te, il film di Fabio Mollo in uscita il 28 settembre

In un mondo che/non ci vuole più”, Il mio canto libero di Battisti/Mogol è la canzone che ha il compito di interpretare i sentimenti di tutto il film. E non ci riesce. Torna più volte, fa da veicolo espressivo senza essere una colonna sonora (non solo, almeno) è invece un indizio interpretativo, come anche l'atterraggio di una sonda su Marte, e ancora verso la fine la cerimonia che segna il passaggio a stato di prete di un amico del protagonista. Sono tutti momenti accessori di un film che parla d’altro in realtà, ma sono anche momenti che dicono molto di quello che davvero vuole essere Nata per te. La storia è quella della lotta e del percorso compiuto da un uomo single (prima unito a un altro uomo, poi proprio solo) per adottare o avere l’affidamento per qualche mese di una neonata down che fatica a trovare una famiglia. La legge italiana lo consente ma di fatto non avviene mai, perché non è stato mai fatto e una giudice coscienziosa e dura esita a prendere una decisione epocale.

È in questo senso non tanto una storia italiana ma una storia di Italia, cioè una in cui la tenacia di alcune persone si insinua in un sistema opaco che non funziona bene, per creare o ottenere qualcosa che non sembrava possibile. Tutto non cambiando il sistema collettivamente (che forse poi cambierà in virtù di quella sentenza) ma lavorando per trovare una soluzione solo per sé. È una storia che denuncia una situazione, chiaramente, che spiega come funzioni il nostro ordinamento oggi e che effetto abbia tutto questo sulle persone. Per farlo compie anche una scelta molto intelligente, mette insieme due personaggi che creano un contrasto: il protagonista è una forza molle, non si arrende mai ma fa tutto senza vita, con atteggiamento remissivo e per inerzia; l’avvocata a cui si rivolge, interpretata da Teresa Saponangelo, invece è un fascio di elettricità, ottimismo, forza e volontà. Uno pare morto (ucciso dal sistema) e l’altra è l’emblema della vitalità che lo resuscita.

Il problema del film è che non riesce mai a creare l’incendio che vorrebbe. Da un lato perché la scrittura indugia continuamente su dettagli e storie parallele che dovrebbero arricchire quella principale ma non ci riescono (e ci sarebbero da menzionare anche dei flashback invadenti con ben poca economia nel senso totale); dall’altro perché la scelta di far recitare a Pierluigi Gigante (il protagonista) un unico muso lungo per tutto il film, affossa l’empatia. L’idea lì sarebbe di dare molta forza a un cambio di espressione che arriva a un certo punto, improvviso e atteso come un raggio di sole, e sarebbe anche una buona idea ma fino a quel punto Nata per te e Gigante, insieme, non riescono a lavorare su quell’eterno muso lungo generando più fastidio che partecipazione. Per tutto questo esistono delle ragioni nella trama, c’è una backstory, ci sono molti dettagli che formano quella personalità del protagonista, tuttavia rimane una figura con cui è impossibile entrare in contatto, cosa che impedisce anche di entrare in contatto con la storia in generale. 

Tutto viene da una storia vera, cosa che darebbe anche delle note inusuali e complicate ai caratteri. Ad esempio il protagonista non vuole combattere per la comunità gay, non è un membro attivo, ha un passato in seminario, rifiuta l’idea della lotta per la conquista dei diritti e vuole solo godere di una possibilità che gli viene data da una legge che esiste. Tuttavia il lavoro su di lui (che è il corpo sofferente della storia, attorno a cui gravitano un’avvocata, una giudice, un compagno e altre forze) è davvero troppo blando, affidato a una interpretazione che non regge un compito difficilissimo, e mai sostenuto da una scrittura eccessivamente didascalica ed esplicativa.

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