Narita Boy non è un capolavoro, ma è comunque bellissimo | Recensione
Narita Boy è un gioco solo discreto, ma anche un’esperienza unica nel suo genere e fondamentalmente imperdibile per gli amanti della pixel-art
Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".
Narita Boy è il classico videogioco che non vorresti mai ridurre ad un freddo e lapidario numero. Mai come in questo caso, difatti, il voto che vedete a fondo pagina rappresenta solo una parte della realtà, soprattutto se si considera il quadro generale della critica videoludica nostrana, in cui un sette e mezzo equivale, quasi giocoforza, ad una netta stroncatura.
L’avventura che vi ritroverete tra le mani, qualora decideste infine di dargli giustamente una chance, è sensibilmente differente rispetto ai trailer mostrati nel corso del tempo dal team di sviluppo. Mancano in toto alcune ambientazioni, la sezione che rimandava chiaramente a Street of Rage è stata completamente eliminata, alcune mosse, soprattutto le più spettacolari, non sono presenti nel combat system della versione finale.
C’è poco da sorprendersi, insomma, se alla fine dei conti Narita Boy risulti tutt’altro che rivoluzionario o perfetto come qualcuno sperava. Sì, perché in questo action-adventure bidimensionale, che è tutto meno che un metroidvania, albergano e convivono due anime: quella ludica, nella media, quella derivante da un comparto artistico assolutamente fenomenale e a tratti stupefacente.
Da giocare Narita Boy non regala affatto sensazioni trascendentali. Non manca nulla, sia chiaro. Tutto è perfettamente al suo posto. Eppure non si ravvisa il guizzo, il quid in grado di distinguerlo dai tanti congeneri.
Il combat system, legato all’utilizzo della Techno-Sword del protagonista, mette in campo un discreto campionario di mosse, tra attacchi a distanza, tecniche speciali, schivata e quant’altro, ma non brilla particolarmente per profondità. Il level design palesa un’estrema linearità anche in quelle rare occasioni in cui si apre ad ambientazioni lievemente più ramificate e che, di tanto in tanto, si alternano alla classica sequela di corridoi e arene. Il bestiario di nemici si compone di varie tipologie di sgherri da affrontare, ma la maggior parte delle boss fight risultano piuttosto insipide.
Anche in termini di longevità non ci si può lamentare considerando genere di riferimento e dimensioni del team di sviluppo, siamo intorno alle dieci ore per la cronaca, ma la totale assenza di collezionabili elimina qualsiasi incentivo a concedersi una seconda run.
Se Narita Boy si limitasse a questo, insomma, sarebbe un videogioco poco più che sufficiente. Svolge il suo compitino, lo fa con grande applicazione, ma senza passione, né estro. Come anticipavamo, fortunatamente, esiste anche altro, ambito in cui invece il gioco se la cava alla grandissima. Artisticamente, infatti, siamo di fronte ad una piccola perla, un capolavoro da vedere, ascoltare, seguire tappa dopo tappa.
Sul fronte visivo, le fonti d’ispirazione sono molteplici. Tron, ovviamente, Evangelion, alcuni lungometraggi dello Studio Ghibli, ma anche Hyper Light Drifter e Superbrothers: Sword & Sworcery EP. L’esplorazione del Digital Kingdom, come diremo meglio a breve, è un viaggio pieno di suggestioni, scenari ammalianti, incontri alienanti. Nessuno scenario vi lascerà indifferenti, mettendo in mostra tutte le abilità e la creatività degli artisti di Studio Koba.
Il comparto sonoro, dal canto suo, concorre alla meraviglia. Frutto degli sforzi del compositore Salvinsky, se amate la New Retro Wave e la Vaporwave vi sentirete a casa, accolti, coccolati e cullati dal freddo suono di un synth che si adatta qualsiasi situazione e scenario.
[caption id="attachment_224326" align="aligncenter" width="1000"] Non mancano un paio di scontri particolarmente impegnativi, ma bastano un paio di tentativi extra per uscirne vincitori[/caption]
Dove Narita Boy sorprende davvero, tuttavia, è nella trama. Laddove ci si aspetterebbe la solita sceneggiatura criptica ed enigmatica, classica di tante altre produzioni indie simili, il gioco di Studio Koba abbonda di dettagli, di dialoghi, di spiegazioni. Resta qualche ombra, dettagli ignoti e incomprensibili solo perché nel Digital Kingdom, creato per mano del programmatore stesso, tutto è misterico, religioso, rivolto all’adorazione del Creatore, colui che ora ha perso la memoria a causa di LUI, misterioso villain che pur in forma digitale sta trovando e ha trovato il modo di interagire anche con la nostra realtà biologica e reale.
Esattamente come in Tron, l’eroe di turno è stato richiamato dalla realtà che conosciamo tutti ed opportunamente digitalizzato, prescelto che brandendo la Techno-Sword può sconfiggere l’oscuro signore che attenta all’equilibrio non solo del regno digitale, ma anche del mondo intero.
Se la trama principale non brilla certo per originalità, è nell’intersecare di continuo la vita del Creatore che, flash back dopo flash back, assisterete a momenti tremendamente toccanti e commoventi. Inizierete così a sciogliere le metafore e le allegorie che compongono il Digital Kindom, chiaro specchio dei sentimenti, dei drammi, della biografia dello stesso programmatore da trarre in salvo.
Ogni programma, ogni subroutine, ogni processo interno al software si traduce in una figura mistica, una preghiera, in un luogo di culto da esplorare e visitare, mentre tra una battaglia e l’altra si raggiunge l’ennesimo simulacro del Creatore, dove recuperare un altro segmento della sua memoria perduta.
Narita Boy è un gioco discreto, ma anche un’esperienza unica nel suo genere e fondamentalmente imperdibile per gli amanti della pixel-art, di certe sonorità, di storie in stile Tron e Evangelion.
Chi si aspettava un action profondo e impegnativo resterà vagamente deluso. Chi non vede l’ora di visitare un luogo alienante e tremendamente affascinante come il Digital Kingdom scoprirà una produzione che gli entrerà dritta nel cuore.