Narcos (terza stagione): la recensione
La recensione della terza stagione di Narcos: il cartello di Cali raccoglie l'eredità di Pablo Escobar, nel nuovo ciclo di episodi della serie di Netflix
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Narcos rimane saldamente ancorato a quella visione di genere che già muoveva le prime due annate della serie. Il contesto da gangster movie richiama una serie di stilemi e necessità narrative che vengono perseguite senza troppi sobbalzi, ma riuscendo a mantenerne la forza propulsiva all'interno di una storia che comunque ha una fortissima identità, linguistica ma non solo. Avremo quindi l'agente che lotta contro un sistema marcio dalla testa ai piedi, il personaggio che fa il doppio gioco e vive con il peso di una famiglia da proteggere, i boss sopra le righe. Tuttavia è proprio qui che Narcos compie la sua scelta più inattesa, forse la più ammirabile.
Eppure, quando il violento finale del quinto episodio segna la cesura più importante della stagione, sappiamo di essere entrati in un gioco più intenso, del quale conosciamo le regole e i giocatori. La stagione a quel punto ha una crescita inarrestabile, presenta momenti di tensione palpabile, esplode dove può e, quando toglie soddisfazione ai suoi “eroi sconfitti”, ci lascia con loro a soffrire. In questo, gli occhi disillusi di Pedro Pascal suppliscono ampiamente all'assenza del collega Murphy. Curiosa, ma gradita, la presenza in apertura e chiusura di stagione di Edward James Olmos, mentre passeranno senza lasciare impatto le apparizioni di Kerry Bishé (Halt and Catch Fire) e Miguel Ángel Silvestre (Sense8).
Il taglio semidocumentaristico, con inserimenti d'epoca, proietta i riferimenti della serie verso l'alto. Non le strade, non quella distribuzione e consumo di cocaina che muove tutto ma di cui in fondo vedremo poco, ma il rapporto simbiotico tra politica e criminalità. Corruzione e compromessi ancora una volta stringono la presa su una Colombia nel sangue e priva di riferimenti. Il personaggio di Pedro Pascal a quel punto appare come l'emblema di un idealismo perduto soffocato dalla realpolitik, lo scoglio che si erge contro la marea, ma destinato a venire sommerso. Una visione, affine al Sicario di Denis Villeneuve, che erode spazio all'anima gangster della serie e la consegna al poliziesco più duro e puro.