Narcos: Messico: la recensione
Narcos: Messico racconta un nuovo capitolo della storia del narcotraffico
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La stagione non è un sequel diretto degli eventi raccontati nelle precedenti stagioni. Facciamo un passo indietro, fino all'inizio degli anni '80, e assistiamo all'ascesa criminale dell'ex poliziotto federale Felix Gallardo. Insieme al socio Rafael Caro Quintero, fonda il Cartello di Guadalajara, entra in contatto con i colombiani, gestisce il traffico di stupefacenti attraverso il territorio messicano e verso gli Stati Uniti. Gli si contrappone, idealmente e non solo, l'agente Kiki Camarena che, insieme ad altri agenti della DEA, indaga sul narcotraffico per colpire al cuore l'organizzazione criminale dominante.
Se Diego Luna fa un lavoro egregio, Michael Peña è davvero una sorpresa. Per l'ennesima volta in carriera interpreta un poliziotto (anche se al grande pubblico sarà forse noto per la parlantina velocissima sfoggiata in Ant-Man) e lo fa scoprendosi il meno possibile. Piccoli tocchi familiari che servono a darci un'idea di chi sia, la giusta determinazione sia sul campo sia durante gli interrogatori. Ma nel suo caso non abbiamo mai l'impressione di avere a che fare con una scrittura che ci vuole imboccare nel ritrarre quella che, ricordiamo, è anche una figura realmente esistita. E Michael Peña in tutto questo fa un lavoro misurato, quasi invisibile nelle prime puntate, tanto che tutta l'attenzione sembra puntata sull'altra storyline (e in generale è così). Però alla distanza, quando la tensione della storia diventa più palpabile, tutto permette di raccogliere i frutti nella costruzione silenziosa del personaggio.
Rimane una serie che non deluderà quanti hanno amato le prime tre stagioni dello show. Una conferma quindi, invece di una nuova direzione. Ma si tratta anche di una stagione che nel finale guarda al futuro, e che lancia abbastanza palesemente personaggi fino a quel momento secondari verso un futuro da co-protagonisti. Scelta coerente in una serie che racconta la propria storia come se fosse una guerra (c'è proprio questo paragone), con nuovi soldati da una parte e dall'altra pronti a prendere il posto dei caduti.