My Week with Marilyn – la recensione

My Week with Marilyn è un film ben scritto e diretto, su cui però pesa molto lo scarso fascino di Michelle Williams nei panni dell'iconica attrice...

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Nel 1956, poco prima di girare A qualcuno piace caldo, Marilyn Monroe attraversò l’Atlantico per girare Il principe e la ballerina di e con Laurence OIivier.

Il matrimonio con Arthur Miller era stato celebrato solo qualche mese prima e, nonostante il successo e una situazione sentimentale finalmente “stabile”, Marilyn viveva già quell’ansia e insicurezza che solo sei anni dopo la portò al suicidio.

Il regista Simon Curtis ci racconta il suo “disagio” prendendo il punto di vista del giovane assistente alla regia che, quasi circa quarant’anni dopo, avrebbe scritto il resoconto di quell’avventura nel libro autobiografico My week with Marilyn: Colin Clarke, negli anni poi diventato uno dei più importanti sceneggiatori britannici.

I capricci sul set, la pazienza a corrente alternata di Laurence Olivier, la signorilità di Vivian Leigh e Dame Sybil Thorndike, i rapporti tra cinema e stampa e le produzioni cinematografiche vecchia maniera: My Week with Marilyn racconta tutto questo, ma sempre tenendolo sullo sfondo della vicenda principale. Anche il percorso di crescita del giovane narratore, la sua voglia di emanciparsi dalla sua famiglia borghese e di affermare il proprio ruolo nel mondo, sembra giusto un pretesto per avvicinarsi agli aspetti più intimi della vita di Marilyn Monroe.

E seppure il tutto sia ritratto con la solita grazia che le commedie inglesi a tema semi-biografico ci hanno abituato (da Shakespeare in love a Il discorso del Re), e nonostante gli attori – su tutti proprio Michelle Williams – siano bravissimi, il problema di fondo del film è che la Williams non ricorda per niente Marilyn Monroe. E non parliamo di somiglianza fisica - quella in qualche modo, grazie al trucco, riesce a suggerire il rimando - ma di capacità di illuminare con la sola presenza lo schermo. Si poteva scegliere anche una donna bella in modo diverso dall'iconica attrice, ma avrebbe comunque dovuto emanare un fascino capace di trascinare. La conseguenza “critica” non ha a che fare con i possibili ormoni poco in subbuglio dello spettatore maschile, ma con la credibilità stessa della storia. Quel che a Marilyn Monroe si giustificava in termini di ritardi, contraddizioni e lentezza nel finire le scene perché così bella da lasciare senza fiato, non può essere fatto per Michelle Williams. Bisogna continuamente sforzarsi di pensare che nel film lei interpreta l’icona di bellezza più conosciuta e seducente al mondo per entrare nella logica dei personaggi che le girano intorno. Per dirla in parole povere, persino Emma Watson - finalmente orfana di Harry Potter - appare molto più affascinante.

Lo spettatore deve impegnarsi per “credere”: non che sia una fatica, ma non è una sensazione naturale e tutto questo, suo malgrado, finisce con il pesare sul godimento finale di una pellicola ben scritta, a tratti divertente e sicuramente interessante per ricostruzione storica. Difficile dire se si poteva fare di più, se un’altra attrice, anche meno brava della Williams, sarebbe stata una scelta migliore, ma così la ciambella non risulta uscita completamente con il buco.

Seppur si tratti solo di una supposizione, la scelta di non fare vedere neanche un frammento di repertorio con la vera Marilyn, neanche durante i titoli di coda, sembra confermare che neanche il regista o la produzione siano stati completamente convinti del risultato raggiunto con la trasformazione dell’ex star di Dawson’s Creek.

Piccola curiosità: per l’interpretazione in Il principe e la ballerina, la Monroe ricevette solo un premio in giro per il mondo: il nostro David di Donatello 1958. Glielo consegnò Anna Magnani e lei, rivolgendosi al pubblico, disse un dolce “Sono commossa and grazie” che, da allora, è entrato tra gli aforismi più citati della storia del cinema dai critici cinematografici italiani. Chissà perché…

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