My Sunshine, la recensione | Cannes 77
C'è ancora parecchio da aggiustare nello stile di Hiroshi Okuyama, ma My Sunshine è un'opera seconda convincente e poetica.
La recensione di My Sunshine, il film di Hiroshi Okuyama presentato a Cannes 77 nella sezione Un certain regard.
D'estate Takuya gioca a baseball. D'inverno nella squadra locale di hockey. Non è bravo in nessuno dei due, ma un giorno sensei Arakawa - l'istruttore di pattinaggio artistico che allena le ragazze prima dell'hockey - nota qualcosa in lui e inizia a dargli lezioni gratis. Quella che segue è mezz'ora-quaranta minuti di splendido cinema, lieve come la neve che copre il paesino giapponese dei protagonisti. È la liberazione di un corpo impacciato che si libra dalla sua crisalide, e che l'interpretazione mostruosa del piccolo Keitatsu Koshiyama (attore e pattinatore) affronta in modo obliquo e ironico, dipingendo un protagonista motivato non dall'ambizione ma dalla pura gioia infantile dello scoprirsi bravi in qualcosa, del trovare finalmente un posto nel mondo.
Non c'era bisogno ad esempio di fare dell'omosessualità di Arakawa un punto di trama più di quello che già esprime l'alternanza di scene fra le lezioni sul ghiaccio e la vita di coppia del sensei. In questo c'è già tutto, la dolcezza, la commozione di un uomo "nascosto" che vede un giovane esprimersi liberamente, l'impossibilità di interfacciarsi apertamente con una società rigidissima dietro la facciata pittoresca. Invece Okuyama gioca sul sicuro facendo esplodere un conflitto che poteva benissimo restare latente, scegliendo una soluzione narrativa naturale ma anche risaputa, e che è al di sotto delle aspettative stabilite dal film. Il talento è evidente, la maturità verrà.