My Spy: La città eterna, la recensione

Accettate le premesse del suo genere My Spy: la Città Eterna è molto più godibile di tutti i suoi simili, perché è fatto con mestiere

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di My Spy: la Città Eterna, il sequel del film con Dave Bautista stavolta in Italia, disponibile su Prime Video

Sono passati quattro anni, una pandemia e uno sciopero, e così in questo sequel di My Spy Chloe Coleman è cresciuta. Molto cresciuta. Stavolta, Dave Bautista, agente della CIA che nel film precedente le ha insegnato come diventare una spia, deve affrontare i problemi tipici di un genitore di adolescente. Anche se poi non è suo padre, ma questo non è il tipo di film in cui stare a sindacare troppo. Siamo nel territorio della fatina dei denti di The Rock, degli Spy Kids o del poliziotto alle elementari di Schwarzenegger: eroe d’azione più bambini (possibilmente anche loro d’azione). E soprattutto, questo è quel tipo di film in cui i bambini menano gli adulti con le arti marziali, in trasferta in Italia tra Venezia, Roma e il Vaticano per cantare per il Papa. Tutto insieme.

In un film così come prima cosa occorre accettare le premesse, e non solo quelle della trama. Bisogna accettare le premesse del genere proprio, il cinema per ragazzi che è anche cinema “per la famiglia” con qualcosa per ogni membro e una generale idea d’azione un po’ annacquata per non scontentare nessuno. Questi sono film di carisma, in cui gli attori contano tantissimo e devono sostenere un impianto più generico del solito, meno affilato e meno audace, dargli almeno personalità, lavorarsi il pubblico e intrattenere con una performance. Per questo My Spy: la Città Eterna è così sorprendente, perché non è per niente trascurato né generico!

A dirigere c’è Peter Segal, veterano della commedia (ha iniziato con Una pallottola spuntata 33⅓ e ha girato anche Terapia d’urto), che calibra molto bene tempi e gag e dirige con grande maestria Dave Bautista. Che lui sia un ottimo attore con note di commedia eccellenti lo ha dimostrato in I guardiani della galassia, ma qui si cala bene anche in un registro meno demenziale e più mainstream. Ma non solo! È fatta molto bene la parte d’azione, con grande sfarzo e mezzi giusti, a partire da una sequenza iniziale con stuntmen che si lanciano da un aereo, riprese in caduta e poi con coreografie ottime (e meno male, sprecare il fatto di avere Bautista sarebbe stato criminale), anche nel caso dei bambini.

My Spy: The Eternal City è quello che è, ma lo è fieramente e con proprietà di linguaggio filmico, con tantissima dignità e impegno. Il genere più difficile, maltrattato e complicato da fare (perché vuole mettere insieme toni eterogenei che è molto molto difficile unire se occorre anche mantenere basso il minimo comune denominatore e quindi ampio il pubblico potenziale) è gestito in modi che raramente si vedono. Per riuscirci si rinuncia un po’ alle linee romantiche (e meno male!), e ci si appoggia più del solito sulla commedia. I fratelli Hoeber alla sceneggiatura non si inventano niente e come possono ricorrono a stereotipi culturali italiani, ma Segal è sempre bravo a trasformare gag convenzionali in momenti riusciti, lavorando sulle performance, i volti, le comparse, il montaggio e il ritmo dei dialoghi. Un film portato a casa per bene con la forza del mestiere.

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