My Old Ass, la recensione: un profondo e dolcissimo inno generazionale

La saggezza dei 39 anni dialoga con l'entusiasmo passionale dei 18: My Old Ass è un film che non si dimentica.

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Non fate l'errore di perdervi My Old Ass (su Amazon dal 7 novembre), un piccolo film destinato a perdersi nella marea di offerta on demand della piattaforma e che invece merita di essere estratto, amato e ricordato. Non capita spesso un film sentimentale così, capace di essere contemporaneamente "generazionale" (per come racconta l'epoca specifica in cui viviamo e chi è giovane oggi) e "universale" (per come la vicenda che racconta non può che riecheggiare nel vissuto di tutti, a prescindere dalla generazione a cui appartengono).

My Old Ass ha una premessa quasi magica, eppure è uno dei film più veri dell'anno. Come in un classico di Frank Capra o Richard Curtis il soprannaturale irrompe nel reale non per fare un fantasy, ma per illuminare la realtà. Durante un campeggio con le amiche, Elliot (Maisy Stella, eccezionale) riceve la visita di sé stessa da grande (Aubrey Plaza, strepitosa e che ve lo diciamo a fare). A ritmo di irresistibile commedia si confrontano sul futuro di una/passato dell'altra: cosa abbiamo fatto? Cosa stiamo per fare? Perché dobbiamo stare lontane da un ragazzo di nome Chad (Percy White, anche lui pazzesco)?

Il genio di My Old Ass (tutto farina nel sacco di Megan Park che lo ha scritto e diretto) sta nel non fare una commedia soprannaturale. Anziché spremere l'interazione meravigliosa di due grandi attrici fino all'inevitabile momento in cui la premessa fantastica perde novità, inizia ad annoiare e si banalizza nel tentativo di conciliare il mondo vero con un personaggio che parla da solo, Park toglie subito di mezzo "my old ass" (come Elliot chiama affettuosamente la sua alter ego) facendola rimanere una presenza-assenza, un numero in rubrica da chiamare una volta ogni tanto, ma che lascia il campo libero alla protagonista e alla riflessione esistenziale scatenata da questo confronto con il (proprio) futuro.

Su questa premessa di una diciottenne ancora spensierata ma che inizia a guardare avanti - cioè a maturare - My Old Ass costruisce un character study così riuscito e commovente da illuminare con la sua forza un intero pezzo di mondo e di presente. Raramente si ha il privilegio di conoscere un personaggio così a fondo come Elliot, partecipando - spesso ridendo e altrettanto spesso con le lacrime agli occhi - ai suoi sforzi per trovare una direzione da seguire e una conciliazione con le persone che ha intorno.

Elliot è una figlia di contadini che vuole cambiare vita per studiare in Canada, e che meraviglia il modo in cui Parker lavora su quegli ambienti di periferia, i prati, il fiume con le barche, i campi, di cui già ci fa sentire la nostalgia prima di averli lasciati. È una ragazza che si è sempre considerata gay e che invece scopre che forse le piacciono anche i ragazzi (quanto poche sono - perfino oggi - le belle rappresentazioni di identità bisessuali al cinema). È una Gen Z-er fino al midollo, che partecipa in pieno alla rivoluzione identitaria di questi anni, ma in My Old Ass non troverete neanche un fotogramma predicatorio o falso-progressista. Queste sono persone vere coi loro affetti, aspirazioni e paure. E questo è uno dei film dell'anno.

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