My Best Friend's Exorcism, la recensione
Il twist interessante di My Best Friend’s Exorcism non risiede di certo nella trama, ma si rivela piacevolmente nella nostalgia affettuosa per quel vecchio cinema di maniaci seriali, spiriti demoniaci e adolescenti sbruffoni.
La recensione di My Best Friend’s Exorcism, dal 30 settembre su Prime Video
Il punto di svolta che dà il via al film è il classico weekend nella casa sul lago che Abby, Gretchen e altre due amiche passano insieme, invocando con una tavola ouija la presenza di demoni circostanti. Il primo elemento interessante del film è l’incertezza sulla consistenza metafisica di quello che da lì in poi accade: Gretchen ha infatti assunto degli allucinogeni prima di fare visita alla classica casa abbandonata… quello che succede sarà quindi reale o solo pura immaginazione?
In questo senso è decisamente divertente la sequenza di vero e proprio esorcismo: i richiami lungo tutto il film al grande classico di William Friedkin sono evidenti (il vomito a getto, il desiderio sessuale, la pipì in pubblico), eppure basta un palestrato invasato col cristianesimo al posto di Padre Merrin per cambiare di segno l’intera citazione. La recitazione di Elsie Fisher e soprattutto di Amiah Miller è poi positivamente convincente per come riesce a gestire questi continui cambi di tono.
La cosa che di più manca a My Best Friend’s Exorcism è invece la ricerca di un suo tema centrale: si parla di amicizia, di dinamiche di bullismo e di libertà sessuale, eppure alla fine dei conti nessuno di questi percorsi viene seguito fino in fondo. Non troppo male: almeno ci si diverte.
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