Mug - Un'altra vita, la recensione
Una comunità cattolica sotto la quale si nasconde il peggio della natura umana in Mug è osservata con un distacco ironico rinfrescante
Prende le mosse da una colossale statua del cristo redentore, molto simile a quella famosa di Rio De Janeiro (ma più grande), che è stata davvero eretta in Polonia. La storia è ambientata nella località di campagna in cui questa statua è in costruzione e coinvolge uno degli operai che ci stanno lavorando. C’è un incidente mortale che quasi lo uccide ma lo sfigura tanto che viene eseguito su di lui il primo trapianto di faccia del paese. L’operazione va bene ma lui non è esattamente una meraviglia.
In questa comunità così religiosa c’è pochissima carità e Malgorzata Szumowska (che scrive e dirige) ce lo mostra con un espediente secco e deciso come il resto del film. Sono tutti gentili ma noi assistiamo anche alle sedute in confessionale dei vari cittadini in cui esce fuori la verità. La gente disprezza il “mostro”.
Sembra di assistere all’opposto logico di Luci Della Città di Charlie Chaplin in cui il vagabondo trova i soldi per un’operazione impossibile che ridà la vista alla fioraia cieca. C’è anche qui un’operazione salvifica ma non cambia la vita in meglio, anzi. Addirittura lo stato che ha promosso l’operazione non supporta tutta la riabilitazione e non paga i molti e costosi farmaci che il protagonista è obbligato a prendere. Tutti hanno due facce (Mug vuol dire muso), tutti guardano da un’altra parte (alla fine anche il Cristo lo dovrà fare per forza).
È un mondo da Tim Burton (del resto anche lo spunto della storia lo è) solo che non c’è quell’idealismo della lotta dei diversi in un luogo omologato, è molto più cupo e privo di morale. Come Tim Burton infatti anche Mug - Un'Altra Vita deride apertamente la miseria umana che vede intorno al protagonista (qui ad essere deriso è però anche il protagonista), canzona i personaggi mentre racconta la vittoria della loro falsità, delle loro paure e di quell’atteggiamento così fastidiosamente predatorio della vita altrui che è l’allearsi di chi si percepisce come “normale”. Qui basta pochissimo, un’operazione al volto, a far passare una persona dal cerchio degli integrati a quello dei reietti.