Mr. Robot 4x07 "407 Proxy Authentication Required": la recensione

In uno splendido episodio dallo stile teatrale, Mr Robot svela le sconvolgenti radici del malessere di Elliot

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Spoiler Alert
Mr Robot 4x07: la recensione

Arrivato all'ultima stagione di Mr. Robot, Sam Esmail ha deciso di divertirsi e di farci divertire. Ogni episodio è una nuova possibilità fino a quel momento inesplorata, ma quel che davvero colpisce è la capacità di alimentare la storia centrale unendo emozioni, dramma, sorpresa e grande, grandissima tecnica. Il settimo episodio è l'ennesima prova, l'ennesima bolla racchiusa in se stessa, definita dal proprio stile, ma capace di trasportare in alto la narrazione generale della serie. Si tratta di una parentesi che corteggia il teatro, all'inizio un semplice esercizio di stile che sul finire dell'episodio deflagra in un'esplosione emozionale.

Elliot è stato catturato e portato nell'appartamento di Krista, dove Fernando Vera la tiene prigioniera insieme ai propri uomini. Come un'ombra dal passato, è tornato per vendicarsi del protagonista, in un rapporto morboso che mescola ossessione, ammirazione e delirio. Elliot non vuole collaborare con lui, ma, anche a causa del suo senso di colpa per aver messo in pericolo Krista, non può fare altro. La storia è narrata in larga parte dal punto di vista di due prigionieri, soprattutto uno, che cercano di sfuggire al loro carnefice. La minaccia in bella vista è questa, e non crediamo ce ne siano altre. Insomma, Necessaria autenticazione proxy dovrebbe essere un episodio che basta a se stesso, molto letterale e immediato.

La struttura teatrale impiantata sugli eventi è l'ennesimo tocco pregiato di scrittura al quale la serie ci ha abituati. Un ambiente unico, quello della casa, pochi personaggi definiti, una struttura in cinque atti, un forte accento sui dialoghi e i flussi di pensiero che danno spessore all'azione in scena. La stessa regia privilegia un punto di vista distaccato sugli ambienti, limitando la percezione spaziale delle stanze, come se ci fosse una parete invisibile nella quale si trova il pubblico. Ogni dialogo, e quindi ogni atto, spinge l'asticella più in là, si abbassa la tensione provocata da Vera, aumenta quella latente legata a qualcos'altro. Finché proprio lo spacciatore costringe Elliot e Krista a sottoporsi ad un'ennesima seduta, rivelatoria e sconcertante, in cui un segreto sconvolgente di Elliot viene fuori.

L'impianto teatrale si adatta benissimo a Mr. Robot. Perché la storia è già di suo una vicenda di maschere, illusioni, monologhi. Elliot indossa una maschera, forse più di una, che assume fattezze corporee e cammina al suo fianco, entrando nei dialoghi senza che gli altri possano sentirla. Nella finzione cinematografica – o televisiva – sappiamo che quel personaggio non è lì, mentre con un'impianto teatrale dobbiamo solo immaginare che sia lì, anche se gli altri non possono vederlo. Come una personificazione delle paure, come uno scudo contro i traumi della vita, i più orribili e impronunciabili. L'idea di metateatro, intesa come analisi di se stessi, si fonde benissimo con la seduta psicanalitica.

È tutto un palcoscenico, è tutto una grande rappresentazione teatrale che funziona su tanti livelli, e che in fondo serve solo a raccontarci qualcosa in più su Elliot. Fernando Vera è un buffone, è solo uno strumento, la scrittura stessa non ci aveva creduto mai del tutto. Serve solo a forzare un contesto per creare una situazione desiderata e che altrimenti non avremmo mai visto. Il resto è un trauma forte, distruttivo, e basta ragionare sulle fattezze date da Elliot a Mr. Robot per immaginare quanto il dolore sia radicato in lui.

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